Riccardo Isola -Il nuovo Dcpm del 24 ottobre scorso impone chiusure serali, alle 18, per ristoranti, bar, enoteche e pub, pasticcerie e gelaterie Permesso solo l’asporto. Una misura restrittiva che arriva a poca distanza dal primo lockdown di primavera che già aveva messo a dura prova la tenuta del comparto dei pubblici esercizi e durato 72 giorni. A Faenza i commenti e le posizioni del mondo del settore spaziano «dall’incredulità» alla «forte preoccupazione» per le conseguenze che questa imposizione porterà con sé. Ne abbiamo sentiti alcuni.
PREOCCUPAZIONE DEI RISTORATORI
«Dobbiamo cercare di resistere ed essere ottimisti per quanto possibile ma non possiamo certo nascondere la grande preoccupazione che queste chiusure imposte si portano dietro. Veniamo – commenta Fabio Olmeti dell’Osteria La Baita - da una prolungata chiusura primaverile che già ci aveva colpito nel profondo, questa nuova stretta di certo non aiuta il nostro settore a risprendersi. Abbiamo fatto investimenti per la sicurezza, acquistato gel igenizzanti, ridotto le sedute e ci comportiamo quasi come poliziotti con i commensali per cercare di far rispettare distanziamento e l’uso della mascherina. Abbiamo provato a credere che il peggio fosse passato e quindi abbiamo speso risorse in previsione del Natale o comunque delle festività. Ora dovremo, per la decima volta in dieci mesi reinventarci. Lo faremo ma l’asporto e il delivery, visto che con la chiusura serale di fatto ci porta via il 60% del fatturato, per il nostro ambito, non limiterà i danni». Non distante il pensiero di Gabriele Geminiani del ristorante Astorre. «La nostra decisione - spiega il ristoratore - è stata quella di provare ad aprire solo il sabato e la domenica dal mattino fino alle 18. I restanti giorni, solo con il pranzo, non si coprono le spese. Quella del Governo è una scelta che riteniamo sbagliata. Ci hanno imposto di investire sulla sicurezza e lo abbiamo fatto e dopo un paio di mesi ci richiudono ancora. Grazie alla cassa integrazione e alla decisione del Comune di sospendere gli affitti per tre mesi (il locale è di proprietà di palazzo Manfredi, ndr) l’ammortizzazione alla crisi dovuti alla pandemia c’è stata, però non basta. Non possiamo pensare di continuare ad andare avanti a singhiozzo, oltre alla famiglia abbiamo dipendenti che vivono permanentemente nell’incertezza». Molto «preoccupata e incerta sul futuro» è la posizione di Luana Cucchi co-titolare assieme alla sorella Natascia della storica Trattoria Marianaza. «Non ce lo aspettavamo ma di conseguenza ci siamo dovute adeguare, visto che la nostra offerta ristorativa non è consona con il delivery, aprendo tutti i giorni a paranzo dalle 12 alle 14.45. E’ una scommessa - prosegue - che arriva dopo altri sacrifici e investimenti per cercare di rispettare le norme sanitarie nel locale. Noi abbiamo messo divisori tra i tavoli senza calarne il numero. Stavamo vedendo una timida ripresa delle prenotazioni, soprattutto serali, adesso ci auguriamo che almeno si limitino ad un mese altrimenti sarà molto dura».
I BARISTI LANCIANO L’ALLARME
Tra chi non se la passa bene a causa delle restrizioni ci sono anche i bar. «Avevamo aperto da un mese - commenta sconsolata la giovane co titolare del bar Chicco d’oro, Martina Vendemiati -. Chiudendo alle 18 di fatto perdiamo tutta la fascia dell’aperitivo. Mancati incassi che alla lunga si farà sentire. E’ vero che partiamo dalle colazioni per cui comunque riusciamo a far quadrare i conti ma così è molto difficile, soprattutto per chi, come noi, ha appena aperto». Anche il vicino bar caffè Al Moro commenta «negativamente la scelta del Dpcm. Noi - dicono i proprietari Sandra e Lele - abbiamo aperto da un anno. Prima il lockdown di primavera adesso queste chiusure per un mese. Siamo veramente preoccupati, in quanto il calo del fatturato lo possiamo quantificare già attorno al 50%, perché la gente non esce e non si ferma più a consumare. Noi gli investimenti per mettere in sicurezza sanitaria il locale li abbiamo fatti ma ci tocca lo stesso chiudere. La salute va tutelata - concludono - ma queste decisioni ci mettono e metteranno il settore in ginocchio». Infine anche la gelateria, e da pochi giorni anche pasticceria, Puro e Bio non può far altro che prendere atto «delle difficoltà che ci sono e aumenteranno a causa della chiusura. Abbiamo comunque optato - racconta il titolare Vasco Naydenov - per l’offerta anche in delivery, grazie all’app che si può scaricare sul telefono, ma non possiamo nascondere che la preoccupazione rimane alta per il futuro. Già nel primo lockdown il calo di fatturato ha toccato punte anche del 50% in meno, ora ci auguriamo che non si ripeta perché sarebbe un duro colpo d’assorbire».