Riccardo Isola, Sandro Bassi - «Case Manfredi», anche se è più corretto definirle «Palazzo Caldesi», avranno finalmente un futuro. Lo stato di abbandono e degrado di uno dei palazzi storici più importanti del centro faentino ha trovato una possibile risposta concreta di riqualificazione. Grazie all’asta pubblica, l’ennesima indetta da palazzo Manfredi alcune settimane fa, ha trovato un interessamento da parte della R. Group Costruzione Srl di Rimini. L’impresa, seppur nuova nella veste legale, non a caso si tratta di una società di scopo, non lo è da un punto di vista imprenditoriale per il territorio faentino e romagnolo visto che i soci stanno operando in via della Costituzione nei pressi del centro commerciale «La Filanda» per la realizzazione di alcune nuove palazzine.
Da ormai decenni la situazione architettonica del complesso posto tra le centralissime via Manfredi e via Comandini, a due passi da piazza del Popolo, era in condizioni molto preoccupanti. Da qui l’esigenza di trovare una risposta che potesse riportare agli antichi splendori il complesso. Dopo diverse aste andate a vuoto, anche grazie soprattutto all’intermediazione professionale dell’architetto faentino Alessandro Bucci, è arrivato l’interessamento di alcuni imprenditori. «Lasciare in decadenza un oggetto architettonico di questo pregio storico e culturale - afferma lo stesso Bucci - era ed è un peccato. Grazie alla conoscenza diretta e professionale che ho con alcuni imprenditori edili, sono partiti sopralluoghi allo stabile che hanno portato a far maturare agli stessi la voglia di abbracciare la sfida». Tempistiche realizzative, ipotesi progettuali e costi non sono ancora stati stabiliti.
Se tutto l’iter di aggiudicazione scorrerà liscio si può pensare che per vedere un cantiere operativo bisognerà aspettare almeno un anno. Altrettanto servirà per la conclusione dei lavori. «Ci aspettiamo difficoltà nella realizzazione di un progetto che sappia dare allo stabile una sua nuova funzione abitativa. Non mi piace parlare di case di lusso. Qui - ci tiene a spiegare l’architetto - saranno ricavati, ancora non sappiamo quanti, appartamenti di qualità.» Un altro importante valore aggiunto dell’operazione di recupero è il fatto che il Comune, da contratto, riceverà in dote circa 250 metri quadrati di superficie ristrutturata al grezzo. «Si tratta delle aree adiacenti all’ingresso della lungo via Manfredi» rimarca Bucci. Il cantiere su Palazzo Caldesi, in termini numerici, interesserà circa 3mila metri quadrati di superficie coperta ad uso abitativo a cui se ne devono aggiungere altri 1.300 tra cantine, terrazzi, balconi e portici. «Un’altra bella sfida architettonica -prosegue Bucci - è rappresentata dal giardino interno che sarà sicuramente valorizzato in funzione della filosofia complessiva del progetto di recupero conservativo e riqualificativo dello stabile».
In definitiva, al di là dei tempi e dei costi Bucci si sente di evidenziare come «Faenza non ha mai perso l’interesse e la voglia imprenditoriale, abitativa, commerciale di guardare al centro storico come a una risorsa. Oggi con l’operazione di recupero - conclude - un altro tassello di questo puzzle concettuale e filosofico troverà risposte».
I grandi tesori architettonici e artistici presenti nello stabile
Intanto il vecchio nome, Casa Manfredi, che, per quanto suggestivo, manca di fondamenta. La tradizionale identificazione come residenza della celebre famiglia è stata smentita nel 2010 da Lucio Donati che ha trovato documenti nell’Archivio di Stato; poco dopo un giovane architetto, Angelo Banzola, ha interpretato i famosi stemmi scolpiti sui capitelli del portico interno, stemmi recanti la presunta «palma fiorita» di Galeotto Manfredi. «Si tratta del blasone delle casate Bazolini e Viarani - scrive il ricercatore - unitesi fra loro con un matrimonio nel 1468».
La denominazione più corretta è «Casa Caldesi» per via dell’acquisto, nel 1778, da parte di questa famiglia che la ristrutturò, mantenendo nel loro aspetto medievale o rinascimentale alcune parti. La più evidente fra le prime è costituita dal magnifico arco gotico (XIV sec.) su via Manfredi, arco che dava accesso a un locale usato come latteria fino a 45 anni fa; fra le seconde vanno citati il soffitto a cassettoni di età manfrediana nello stesso ambiente, il portico con archi in cotto sul cortile e la soprastante loggetta. Tuttavia, a parte i fregi cinquecenteschi trovati sempre da Banzola sotto controsoffitti o coperture varie, sono le pitture dell’Ottocento ad impreziosire ancora il palazzo. Si tratta di quattro tempere di Felice Giani datate 1820 e di una decorazione, di qualche anno più tarda, di Clemente Caldesi, pittore faentino appartenente alla famiglia proprietaria la quale annovera anche altri esponenti illustri: patrioti distintisi nelle battaglie risorgimentali e il botanico Ludovico, donatore alla città della Scuola di Persolino. Altre decorazioni sono attribuite a Pietro Piani, Pasquale Saviotti, Antonio Liverani.
Curioso e unico a Faenza è infine un cane dipinto sulla cappa di un camino, «probabilmente del ‘600 o ‘700 - scrive sempre Banzola - e sempre mantenuto a vista nelle ristrutturazioni successive per la sua bellezza». Preoccupazioni e appelli per salvare Casa Caldesi sono giunti più volte dall’associazione faentina «Italia Nostra» oltre che da singoli cittadini. Basti ricordare la massiccia partecipazione all’ultima visita pubblica, effettuata dalla Pro Loco nel 2013 e peraltro limitata al fascinoso giardino-orto interno.
Un sopralluogo, infine, è stato svolto due mesi fa dal critico Vittorio Sgarbi.
La documentazione su Casa Caldesi - di cui anche queste note sono debitrici - è vasta ma in gran parte datata. Fanno eccezione L’età neoclassica a Faenza (a cura di F. Bertoni e M. Vitali, 2013) e due titoli reperibili solo in Biblioteca Manfrediana; si tratta di pubblicazioni non in commercio: La Famiglia Caldesi in via Manfredi (di V. Maggi, Faenza 2015) e Casa Caldesi: lo stato delle cose, tesi di laurea in restauro architettonico, del 2015, di A. Banzola.