Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi raccontano Dante nell’immaginario dei romagnoli, in un nuovo saggio
Federico Savini
«Nel 2021 le celebrazioni dantesche saranno al culmine, e il lascito del Poeta verrà analizzato in ogni aspetto. Ma a noi sembrava mancasse, in questo ricco contesto, l’angolazione popolare e antropologica. Ossia, non tanto come Dante ha raccontato la Romagna, ma come i romagnoli hanno idealizzato Dante». Lo spiegano con mirabile precisione, Eraldo Baldani e Giueppe Bellosi, quale sia il contenuto di Dante in Romagna. Mito, Leggende, Aneddoti, Tradizioni Popolari E Letteratura Dialettale, il nuovo saggio dei due autori e studiosi in uscita per il Ponte Vecchio da lunedì 17 febbraio. Un saggio che si aggiunge al corposissimo catalogo degli studi danteschi di questi anni, ma lo fa da una prospettiva effettivamente nuova, quella del popolo e appunto dell’aneddotica e delle leggende popolari nate dalla presenza del Sommo in una terra di periferia come lo è stata quella romagnola. La prima presentazione del volume è in programma il 28 febbraio alla biblioteca Classense di Ravenna, a cura del Centro Relazioni Culturali, e ne seguiranno una il 7 marzo alla Malatestiana di Cesena, una il 14 al museo della Marineria di Cesenatico e certamente molte altre.
Il libro analizza i tanti aspetti del mito popolare dantesco, grazie a una ricerca curata in buona parte da Eraldo Baldini ma con i minuziosi e articolati contributi di Giuseppe Bellosi in particolare sul «Dante bagnacavallese» (e i resoconti raccolti da Nino Massaroli) e il significativo lascito poetico dialettale che ha ispirato, in Romagna, tanti autori vernacolari, con caratteristiche molto precise e peculiari.
«Un intero capitolo riguarda poi il rapporto di Olindo Guerrini con dante - spiega Bellosi - e in generale il libro indaga la “fortuna” di Dante in questa terra che lo accolse e così a lungo lo ha celebrato, tra presenza reale e immaginata».
Insomma, Dante nell’immaginario dei romagnoli…
Baldini: «E’ un nostro contributo, da antropologi, agli studi su Dante, che sono in genere specialistici e letterari. Anche perché parliamo di un poeta che fu apprezzato tanto dai dotti quanto dal popolo, per lo meno in Romagna. Sappiamo che da Firenze, invece, fu allontanato, ancorché i motivi fossero principalmente politici, ma ad esempio a Verona non ebbe la stessa “fortuna popolare” di Ravenna. Era considerato un personaggio strano, non troppo amato. Nel complesso il mio lavoro è stato quello di revisionare leggende e aneddoti popolari, non sempre facili da reperire, mentre Giuseppe ha analizzato con dovizia i contributi dialettali, e quindi quanto mai popolari, alla poesia dantesca».
Dante è riverito in tutta Italia e pure fuori. Ma cosa distingue i romagnoli nel culto di Dante?
Bellosi: «Il fatto che sia morto qui inevitabilmente crea un legame stretto, anche se certa aneddotica romagnola su Dante è diffusa anche altrove. Di peculiare c’è che la Romagna, dopo la Toscana, è la regione più presente nella Divina Commedia, e che Dante ha avuto una certa “dimestichezza” nel raccontare questo territorio. La cosa ha avuto ricadute sull’immaginario popolare»
Baldini: «Di poco credibile ma molto significativa c’è l’abbondanza di aneddoti che vorrebbero la presenza del poeta in quasi ogni paese romagnolo. E’ come per Garibaldi, secondo la leggenda popolare è stato un po’ in tutte le case, la sua presenza viene rivendicata ovunque. E’ una cosa che inorgoglisce anche perché un letterato che visita un luogo poi ne fa fonte d’ispirazione».
L’immagine del poeta nell’immaginario popolare quanto differisce da quella scolastica?
Bellosi: «Di particolare c’è il fatto che vengono evidenziati alcuni suoi aspetti caratteriali, come l’arguzia e la battuta pronta. Non è un popolano, e talvolta viene descritto come un uomo che sta molto sulle sue, ma era apprezzata dalla gente una sagacia molto schietta».
Baldini: «Bisogna tener conto che la figura scolastica di Dante è comunque basata sulle ricostruzioni biografiche, con tutti i loro limiti, a partire dal Trattatello in laude di Dante di Boccaccio. Le testimonianze sottolineano il suo carisma, l’intelligenza ma anche l’ombrosità, a tratti. Una certa ostentazione di superiorità che riportano alcuni scritti viene in alcuni casi ammirata e in altri ritenuta segno di stranezza e spocchia. In Romagna, in genere, prevale l’ammirazione. E’ davvero una terra che l’ha accolto con tutti gli onori, vedi la devozione popolare di cui ancora gode la sua tomba, che a livello architettonico non è di grande pregio ma rimane un luogo di pellegrinaggio per moltissimi».
E la vicenda dei manoscritti danteschi perduti?
Baldini: «Le dedico un capitolo, e in effetti è un’anomalia che non esistano scritti autografi di Dante, a differenza ad esempio di Petrarca e Boccaccio. Il valore di Dante venne già riconosciuto in vita ma i suoi manoscritti sono irreperibili, probabilmente anche a causa del fatto che ne inviava a vari mecenati, a Verona come a Ravenna, e forse chi li riceveva non pensò a conservarli».
La dialettizzazione di Dante è più diffusa in Romagna che altrove?
Bellosi: «Dante ha avuto “fortuna dialettale” praticamente lungo tutto lo Stivale, tant’è che il primo a cimentarsi fu un milanese, il grande Carlo Porta, però è vero che i romagnoli sono stati particolarmente attivi in questo campo. Molti hanno dialettizzato solo piccoli brani o singoli canti, ma due romagnoli hanno tradotto in dialetto tutta la Commedia: il primo fu Luigi Soldati, nel vernacolo di Voltana, seguito da Gianfranco Bendi, da poco scomparso, che lo tradusse nel dialetto di Meldola. Del fenomeno della dialettizzazione, e quindi popolarizzazione, della poesia dantesca si è occupato il grande linguista Alfredo Stuzzi, giungendo alla conclusione che la faccenda vada inquadrata come un fatto di costume, più che di letteratura, perché Dante è infinitamente più celebre di chi lo ha tradotto e quindi queste operazioni non servivano a farlo conoscere, come capita spesso a chi ad esempio italianizza autori dialettali. Per i poeti vernacolari è una sfida alle possibilità della lingua che utilizzano, messa alla prova di una lirica così alta. Fra i tanti che hanno dialettizzato Dante in romagnolo un posto speciale lo occupa Francesco Talanti, un vero geniaccio per un tipo di operazione che a suo dire “poteva essere solo parodistica”. Mi ha fatto pensare al saggio sull’umorismo di Pirandello, in cui la parodia si definisce come un’ombra che segue le movenze del corpo ma deformandole».