Da Traversara a Valencia, Roberto Orlati continua a organizzare i pasti per gli alluvionati

Romagna | 17 Novembre 2024 Cronaca
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Anna Laura Motta
«Nelle ultime settimane mi sono trovato con ancora un mucchio di roba da mangiare. La settimana scorsa è addirittura arrivato un carico di prodotti di prima necessità! Visto che a noi, ormai, qua non servono, ho deciso che nei prossimi giorni parto insieme ad altri ragazzi con un furgone e vado in Spagna a portare aiuti a Valencia. Di tutta questa roba io non me ne faccio nulla, quindi è meglio mandarla a chi ne ha veramente bisogno. L’associazione che ha sede a Pieve Cesato ha trovato un aggancio a Valencia e ci ha organizzato il viaggio. Aiutare gli alluvionati spagnoli dopo quelli romagnoli mi sembra un po’ come chiudere in bellezza questa esperienza di grande umanità nel quadro, purtroppo, di una tragedia. Credo che questo viaggio a Valencia, adesso, sia la cosa più giusta da fare». Roberto Orlati, chef di professione, è tra i pochi romagnoli che in questi giorni si recheranno a Valencia, a dare una mano agli alluvionati spagnoli. E ci va a pieno titolo, visto che dal 20 settembre scorso, dopo l’alluvione che ha travolto le città di Traversara e Villanova, Orlati ha coordinato nel vecchio ristorante di suo padre Remo, chiuso dal 2015 a Villanova, l’organizzazione e la preparazione dei pasti per la gente che aveva perso tutto. Un lavoro di importanza cruciale per le comunità colpite, specie nei primi giorni dell’alluvione. «Ho sempre lavorato in cucina - racconta lo stesso -, mio padre aveva una trattoria e ho fatto la gavetta con lui. All’inizio facevo il cameriere, poi sono entrato in cucina e ho iniziato a lavorare lì. Ho gestito per 30 anni l’attività di mio padre, poi, per motivi miei, ho scelto di andare via dall’Italia e ho chiuso il ristorante».
Però il legame con questo territorio l’ha sempre mantenuto, giusto?
«Sì, anche perché a causa di salute di mia madre sono dovuto rimanere. Ho lavorato in diversi hotel di Milano Marittima fino all’anno scorso, poi quest’anno ho avuto dei problemi fisici ma ricomincerò a lavorare a dicembre. Inizierò a lavorare l’8 dicembre: insieme all’aiuto della cooperativa San Vitale apriremo un nuovo hotel a Ravenna che si chiamerà Hotel del Cuore».
Come si è sviluppata l’iniziativa in aiuto di Traversara e Villanova?
«L’abbiamo fatto semplicemente perché c’era bisogno in quel momento. Io sono partito subito anche se mi dicevano che dovevo chiedere permessi, perché appunto c’era bisogno e non esisteva che partissi più tardi quando c’era così tanta gente in difficoltà. Non l’ho fatto a scopo di lucro, l’ho fatto perché è il mio paese ed ero in grado di farlo perché fortunatamente non sono stato alluvionato e il debordamento del fiume c’è stato a 300 metri da casa mia. Ho riaperto il ristorante e sono partito con le prime cose che erano strettamente necessarie. Abbiamo aperto anche un piccolo ristoro alla mattina, per la gente che aveva bisogno. Purtroppo nessuno aveva gas né luce, e a dire il vero neanche noi. All’inizio non sapevamo come fare, ma poi abbiamo usato tre bombole e tre fornelli. Così siamo riusciti almeno a fare caffè, brioche e biscotti per dare un po’ di supporto morale ai cittadini. Visto che ci conosciamo tutti qua, non c’è stato nessun problema. Insomma, in queste situazioni o parti subito o non parti mai».
Come ha gestito l’organizzazione?
«Ho messo in moto una macchina grazie anche ai volontari di Villanova e le donne che venivano ad aiutare. In cucina eravamo in 4-5 tutti i giorni, poi al pomeriggio io organizzavo la linea per il giorno dopo e dovevo pensare un po’ a tutto, perché noi qui cucinavamo, ma poi il punto di distribuzione era a Traversara. Avevo tre automobili che facevano su e giù tutti i giorni con 20-30 pasti, che poi venivano spartiti. In più c’era anche Villanova: lì avevo una persona che andava e faceva il giro e in questo caso facevamo su prenotazione, quindi sapevamo quanti pasti dovevamo preparare. Siamo andati avanti così per tre settimane. L’associazione dei Cuochi di Ravenna mi ha poi chiamato, dicendomi che sapevano che facevo lo chef e mandandomi altri colleghi, alcuni anche amici miei, per darmi una mano. Secondo me abbiamo fatto veramente un gran lavoro. Dal lato umano mi ha dato tantissimo questa esperienza, però ovviamente sono cose che si spera non accadano più. Vedere il tuo paese messo in quella situazione fa male».
Quanti pasti avete preparato in tutto?
«L’unica certezza che ho è sul primo giorno: abbiamo cucinato 700 pasti perché avevo mille contenitori, quindi sapevo bene quante quantità servivano. Il primo weekend poi siamo andati oltre i 2500 tra sabato e domenica. Successivamente non li abbiamo più contati, perché non avevamo tempo e non ci interessavano i numeri. In totale, dal 20 settembre, avremmo preparato circa 15mila pasti in tutto».
Chi sono i volontari che hanno aiutato?
«Tutto questo è stato possibile appunto grazie ai volontari, alle donne di Villanova e vari amici. Parliamo di 70-80 persone, che hanno dato una grandissima mano, perché da solo non mai sarei riuscito a fare tutto ciò. Persone che sono venute anche solo una volta, e altre che invece sono venute sempre. Insomma, quello che uno poteva fare, l’abbiamo fatto. La mia amica carissima Prima Sardelli, che mi ha dato una mano fin dal primo giorno, è stata una colonna portante per tutto il tempo. Abbiamo lavorato come una catena di montaggio; fuori avevamo una griglia e dei ragazzi che grigliavano in continuazione, con loro una chef mi coordinava i secondi piatti, dentro impacchettavano invece i primi piatti. Insomma, c’è stato un vero bel gioco di squadra. Devo dire solo grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato, che mi hanno supportato e sopportato».
Chi ha donato e cosa è stato donato?
«I miei ex fornitori mi hanno aiutato subito. In primis l’associazione San Vitale, cooperativa di volontariato, che mi ha donato pasta, olio e pomodoro. L’acqua mi è stata donata da una ditta che non conoscevo, che però ho provato a chiamare subito e si sono resi molto disponibili. Sono partito da solo, ma poi è arrivato il mondo, ci hanno donato dalla carne alla pasta, di tutto e di più. L’Orva ci ha donato il pane per i tramezzini, con cui facevamo 600-700 panini tutti i giorni. Tutti i fornitori della zona, ma anche fuori, ci hanno dato una mano. Ci hanno donato quintali di carne, sono venuti anche dal Trentino e ci hanno portato i canederli, spezzatino, strudel, sono venuti da Cremona con uova, salsiccia, prosciutti, poi da Modena e Reggio Emilia, gente che non ho mai visto e che ho conosciuto solo in questa situazione, ma che si è resa disponibile ad aiutarci. In questo modo tutti i giorni riuscivamo a cambiare menù, abbiamo fatto dai passatelli alla pasta al forno, preparavamo sempre il dolce, ma offrivamo anche da bere, dalla semplice acqua a birra e vino. Siamo sempre stati abbondanti con le porzioni. Quando andavo a dormire la sera ero sempre contento di quello che avevo fatto».
Qual è stato il momento più gratificante?
«Un momento che mi rimarrà sempre nel cuore è la gente che mi faceva sempre un sorriso per quel poco che abbiamo fatto. Vedere l’espressione di tutti quelli che conosco, che riuscivano a sorridere nonostante la gravità della situazione quando venivano a prendere da mangiare, era un modo per staccare la mente da tutto quello che stava succedendo. C’era molta gente che conoscevo solo di vista, ma che venendo ad aiutare ho imparato a conoscere e queste sono cose che ti rimangono, perché si capisce che c’è ancora gente buona nel mondo».
Fino a quando siete andati avanti a dare aiuto?
«Siamo andati avanti per 45 giorni, poi ad un certo punto abbiamo smesso di portare il cibo a Traversara e abbiamo tenuto solo il bar, continuando però a fare su prenotazione. Dopo abbiamo seguito principalmente la strada più disastrata, ovvero via Torri, fino a domenica 3 novembre. Li abbiamo seguiti finché poco tempo fa non gli è stato riacceso il gas, anche se tutt’ora non so se ce l’hanno ancora tutti».
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