Cristiano Cavina ci guida su «Come spataccarsi in Romagna con due euro»

Romagna | 27 Ottobre 2020 Cultura
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Federico Savini
«Dato che è una guida, mi sono pure improvvisato cartografo e ho disegnato una mappa della Romagna. Non è proprio di quelle tecniche, diciamo che a sud c’ho messo Valentino Rossi, a ovest c’è il Granducato di Toscana, mentre a nord ci sono “quelli là”». Cristiano Cavina ci ride sopra ma ci vuol poco che la sua cartina della Romagna sia la più attinente al cosiddetto «vero» fra tutte quelle che circolano, visto che l’impossibilità di tracciare confini storico-amministrativi alla terra della piadina e del liscio la rende da sempre più che altro uno stato della mente, delimitato - perché no - da confini iconografici. E in fin dei conti parla anche di questo Baràca. Spataccarsi in Romagna con due euro (o quasi), approdo di Cristiano Cavina sulle edizioni faentine Polaris, specializzate nelle guide turistiche, meglio se insolite, e che appunto affidano allo scrittore di Casola Valsenio un colorato viaggio fra le sagre e gli eventi più bizzarri e originali di un territorio che - pandemie permettendo - normalmente non si risparmia affatto sul versante del divertimento.
«E’ una guida, chiaramente fatta a modo mio - spiega Cavina - che parla di sagre ma soprattutto di eventi divertenti, cose curiose che si possono fare spendendo poco, magari anche vicino a casa. Poi si spera sempre di incuriosire anche, e forse soprattutto, chi abita lontano dalla Romagna».
Come arrivi a pubblicare una guida?
«E’ stata almeno un po’ una combinazione, nel senso che anni fa curai una guida su Napoli per la Lonely Planet, una cosa un po’ narrativa, non convenzionale pure lei. Una volta fatto questo lavoro mi è ronzata in testa l’idea di lavorare a qualcosa di simile, ma sulla Romagna e arrivai proprio a scriverla per me, con tanto di calendario per le date, luoghi degli eventi etc… Era una cosa un po’ sgangherata, chiaramente, ad uso privato, ma quando mi hanno contattato i ragazzi di Polaris, attraverso un’amica comune, avevo già mezzo pronto questo lavoro, da rifinire e mandare in stampa. Così tutto questo si è consumato nei mesi della pandemia».
Con quale criterio hai scelto di cosa parlare?
«Come dicevo, non è una guida che pretenda di essere puntuale su tutto e il focus non sono esattamente le sagre, che ormai nascono come i funghi per ogni cosa, non mi stupirei di vedere organizzata una sagra dell’altalena e una della panchina. Volevo raccontare eventi divertenti, con delle oggettive particolarità. Tra questi ci sono anche delle sagra classiche, come quella del ranocchio, che ha comunque una particolarità gastronomica, o quella del Cinghiale di Zattaglia, che è davvero epica in ogni senso possibile. E quindi ho passato in rassegna l’Arena delle Balle di Paglia, Birravezzanen, la Mototagliatella, il Trail del Cinghiale di Palazzuolo, la cena itinerante di Faenza, una cena in mezzo alla foresta che si organizza nel cesenate, Al Mèni a Rimini, il festival degli Aquiloni di Cervia, il pesce azzurro di Cesenatico, Notturna a Casola, il labirinto effimero di Alfonsine, il Popoli Pop di Bagnara e tante altre».
Un altro modo di fare il giro della Romagna…
«Sì, tra l’altro parlo molto anche di geografia, perché ogni festa viene contestualizzata, in mezza paginetta, nel luogo in cui si svolge. Allora Portofranko si tiene in una Castel Bolognese che per me ha sempre avuto il traffico di Calcutta, Cotignola è un paese dotato di un’avanzatissima e improbabile uscita autostradale e cose del genere. Alla fine c’è pure un glossario, rivolto soprattutto ai non romagnoli, in cui si illustrano modi di fare e di dire da usare a tavola e convenzioni linguistiche particolari».
Ad esempio?
«Quando fai la spesa e il salumiere ti chiede “Altro?”, se tu non vuoi più nulla devi rispondere “Altro”».
In effetti nessuno ha mai capitò il perché. Uscire con un libro così durante il Covid è da intendersi come un auspicio?
«Tutto sommato è stato un caso. Diciamo che l’abbiamo fatto pensando che comunque, male che vada l’anno prossimo questi eventi si faranno tutti».
Il mondo delle sagre, comunque, in teoria è sempre fuori moda ma poi sembra sempre in salute. Come lo vedi?
«Ce ne sono un fantastilione, ogni frazione ne ha una, praticamente, quindi che siano in salute è poco ma sicuro. Alla gente ui pies magnè e gli piace anche non far fatica per cucinare, questo è il punto fondamentale. Se penso alla festa di Sant’Antonio a Casola, non appena sono stati benedetti gli animali saltano fuori le bruschette e i panini con la nutella. Tempo un paio di secondi, e vedi la gente che spunta dai tombini! Poi lì si mangia a scrocco, figurati, altro che assembramenti! Altrettanto vero, comunque, è che queste feste mantengono vive le comunità, e in molti casi gli autoctoni lo fanno più per loro stessi che non per quelli che vengono da fuori. Fare festa rinvigorisce lo spirito, ci si sente parte di qualcosa di bello».
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