Bollicine di Romagna Doc. Questa è l’idea, storica e rivoluzionaria, in ambito vitivincolo che sta caratterizzando il comparto. Le due grandi cooperative del vino, Caviro e Cevico, hanno infatti presentato ufficialmente un progetto comune per la promozione del Trebbiano romagnolo e «per il territorio che vuole traguardare la viticoltura romagnola nei prossimi 20 anni, con il pensiero rivolto alle varietà autoctone».
Si tratta di una novità che potrebbe rappresentare la chiave di volta per un vitigno simbolo di questa terra (14.700 ettari vitati) ma molte volte bistrattato dal punto di vista qualitativo. Una svolta epocale anche dal punto di vista economico e sociale visto che i due principali competitor sul mercato a livello nazionale hanno deciso, per una volta, di superare le proprie barriere aziendali per mettersi assieme e provare a stupire il mercato. Una convergenza di intenti e di progetto che lascia ben sperare per il futuro del comporto enologico.
La scommessa è lanciata. In concreto si tratta di provare a lanciare un prodotto nuovo, spumantizzato, che abbia come base il Trebbiano. Una sorta di «Prosecco romagnolo» che sappia intercettare i gusti di un mercato globale sempre più attento alle vinificazioni «croccanti», fresche e di facile beva. Il nome del prodotto è ancora sconosciuto, probabile che venga presentato in anteprima durante il Vinitaly di quest’anno, ma quello che si sa è che rientrerà all’interno della nuova denominazione di Romagna Doc Spumante.
«Partiamo con il Trebbiamo bollicine - spiega il presidente di Cevico, Marco Nannetti – perché è un momento in cui questo prodotto ha molto interesse sia in Italia che all’estero ma abbiamo la perfetta convinzione che il Sangiovese, soprattutto dell’area di collina, debba essere il secondo prodotto al quale dare una risposta attraverso una progettualità forte partendo dai grandi gruppi come siamo noi». Per Nanetti «il Trebbiano da sempre ha la caratteristica per essere base per spumanti, oggi se ne vendono sfusi 2 milioni di ettolitri per produrre bollicine in tutto il mondo, e su questo abbiamo voluto mettere in campo un’azione concreta capace di provare a presentare prodotti ad hoc di grande qualità». Considerazioni riprese e sottoscritte anche dal presidente di Caviro, Carlo Dalmonte. «Con questo progetto due colossi cooperativi rompono gli indugi e prendono l’iniziativa e la responsabilità di dare una risposta ad un’esigenza nota quella di valorizzare di più e meglio il vino dei nostri territorio. Mettersi insieme - aggiunge - ci permette di togliere il Trebbiano dall’aurea dell’indistinto per appropriarsi di una identità precisa e certa».
Per i presidenti importante e poi sottolineare come «tutto è possibile grazie all’attenzione e alla sensibilità che tutto il territorio vitivinicolo romagnolo possiede. Grazie al Consorzio vini di Romagna - aggiungono Nannetti e Dalmonte - si è potuto dare gambe ad un’idea e ad un progetto di grande respiro per la vitivinicoltura romagnola». Quella del consorzio di tutela non è, infatti, una presenza di poco conto visto che è lui il soggetto chiamato a seguire l’iter per cambiare il disciplinare introducendo nuove tipologie di vino. «E’ il Consorzio vini di Romagna - afferma il suo presidente Giordano Zinzani – che propone queste novità. Da qui bisogna seguire un iter burocratico e autorizzativo complesso che parte dal territorio e arriva al vaglio dell’Unione europea». Sempre per Zinzani «l’esigenza di una bollicina romagnola doc era presente da tempo. Oggi sono 660 milioni le bottiglie prodotte in Italia, numeri enormi che dimostrano come il mercato richieda questo prodotto».
Una presenza antica per il vitigno più diffuso
La presenza del Trebbiano in Romagna è antica (1303). Nel territorio lughese questa tipologia è anche conosciuta come Trebbiano della fiamma in quanto, a maturazione, acquista una colorazione gialla dorata intensa. Nella seconda metà del secolo scorso sono stati effettuati interventi di selezione che hanno portato all’omologazione di tre cloni. Il Trebbiano di Romagna è stato iscritto nel Registro nazionale nel 1970. Il suo utilizzo è soprattutto come vino base, sia per spumanti che per la distillazione. Il vino prodotto, per poter godere dell’appellativo di Romagna Trebbiano doc, deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti aziendali e deve essere dall’85% al 100%. Possono concorrere fi no ad un massimo del 15% di altri vitigni a bacca bianca. La densità minima di piante deve superare i 2.500 ceppi per ettaro. Il vino si caratterizza per il sapore sapido e secco ma con freschezza e fragranza.