Bilancio più che positivo per l’undicesima – la prima fu infatti nel 2007 – campagna di scavi archeologici sul colle di Rontana (Brisighella), in piena Vena del gesso romagnola. Come sempre gli scavi, condotti dal dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, si sono svolti in agosto e hanno visto 25 giovani archeologi (neo-laureati o laureandi, comunque volontari e appositamente selezionati poiché le richieste di partecipazione anche quest’anno superavano le disponibilità) provenienti da tutta Italia e coordinati da Enrico Cirelli e Debora Ferreri. «Le maggiori novità di quest’anno – spiega quest’ultima – riguardano la chiesa, menzionata dalle fonti storiche che la datano a poco dopo il Mille e che abbiamo ipotizzato, da alcuni anni, essere quella nell’angolo ovest, a ridosso del camposanto; ecco, sotto quei resti di edificio, sono emerse murature di una struttura assai più grande, con intonaci anche molto raffinati; l’identità di tale struttura è per il momento incerta ma in ogni caso dobbiamo datarla a qualche secolo prima, forse al VI-VII secolo. Ascrivibili a questo periodo sono anche i frammenti, venuti alla luce proprio qui, di un interessantissimo piatto in ceramica di fattura nord-africana, probabilmente tunisina, e collegabile alle “terre sigillate” tardo-romane. Tali piatti sono già abbastanza noti per via della loro commercializzazione tramite il porto di Classe». Altre novità hanno riguardato l’area produttiva artigianale, già nota per la forgia dei metalli e per le due fornaci (da vetro e da ceramica) e di cui è stata messa a nudo la «punta», sempre sul pianoro sommitale ma in direzione nord. Una ventina di metri sotto la cima, in versante est, sono poi proseguiti gli scavi a carico del cosiddetto «borgo» di casette che ospitavano, secondo le stime, circa 150 civili lavoranti alle dipendenze del castello (stallieri, fabbri, maniscalchi, falegnami, ecc.). Una selezione dei reperti trovati in questi 11 anni è già esposta nella Rocca di Brisighella ma rimane l’idea, formulata dagli archeologi e accolta con grande interesse dal Parco Regionale Vena del Gesso (che possiede una parte del sito, per il resto di proprietà della Curia faentina) di valorizzare turisticamente la località, una volta conclusi gli scavi. Questi ultimi, già comunque pianificati per il prossimo anno, hanno finora messo in luce una serie di affascinanti strutture (resti dei torrioni, delle mura perimetrali, delle «casette» e soprattutto delle quattro cisterne, con pozzo, per l’approvvigionamento idrico) immerse in una cornice naturale di grande bellezza.