Basket B Nazionale, il gigante serbo Dincic è un beniamino del Cattani: «A Faenza un ambiente compatto»
Valerio Roila
Belgrado, la culla della pallacanestro. Così s’intitola un filmato prodotto dall’Eurolega, e nemmeno quello basterebbe per sintetizzare la passione della capitale serba per questo sport. Decine di club cestistici, migliaia di playground (sei dei quali all’interno della fortezza cittadina), e la magia della Pionir Arena, dove giocano le due squadre principali, Partizan e Stella Rossa, la rendono un luogo mistico per tutti gli amanti della palla a spicchi. A Belgrado è nato Nemanja Dincic, nuovo beniamino del pubblico del Cattani, arrivato in estate a Faenza per rinforzare il front-court neroverde. Conosciamolo meglio: «La scelta di giocare a basket è stata per me naturale, data la città natale ed il fatto che anche mio padre era cestista. A cinque anni avevo già la palla in mano e andavo al palazzetto, a vedere il Partizan, la mia squadra del cuore. L’ambiente della Pionir Arena è il migliore del mondo. Ho iniziato in una scuola vicino casa, poi ho proseguito nel Beovuk, fucina di tanti campioni finiti in Nba o in Eurolega».
Com’è nata l’opportunità di venire in Italia?
«Avevo giocato le finali nazionali giovanili a 13 anni e sono stato notato dai dirigenti dell’Assigeco, che ora è a Piacenza, ma allora era a Codogno. Mi hanno proposto di trasferirmi: sono ambizioso, volevo provare nuove esperienze, e mi è parsa una buona chance per la mia carriera. Ho fatto alcuni giorni di provino, poi mi sono trasferito. All’inizio è stata dura, la nostalgia per la famiglia era forte, ma mi sono abituato in fretta, imparando la lingua, gestendo la sofferenza. Ho frequentato la terza media e le superiori lì, ed ho giocato per l’Assigeco per sei stagioni».
Ha difeso il colore di diverse squadre, tra A2 e B. In quale posto si è sentito più a casa?
«Sono cresciuto a Piacenza e dintorni, quei posti sono come una seconda casa, ed ogni volta che mi avvicino sono più a mio agio. Ma ho ricordi bellissimi anche dell’Abruzzo (Roseto e Chieti, ndr) e mi sono ambientato in fretta anche nel Lazio e in Campania (Napoli, Scafati, Cassino, ndr)».
Com’è arrivata la scelta di approdare a Faenza?
«Mi hanno contattato in estate, la proposta mi è piaciuta subito, e chiunque ho contattato mi ha parlato bene di società e pubblico, descrivendomi un ambiente serio e compatto; quello che cercavo per lavorare bene, crescere ed ottenere buoni risultati di squadra. Pareri che sono stati confortati dai miei primi colloqui con coach Garelli».
Il numero 11 di maglia deriva da qualche giocatore a cui si ispira?
«I miei numeri preferiti sono l’8 e l’11, che adoravo sin da bambino, li indossavano giocatori meno conosciuti, ma a cui ero affezionato. A me piacciono atleti con talento, della vecchia scuola, che sanno fare la differenza, come Bodiroga, Jaric, Jokic, Djordjevic».
A quale degli allenatori avuti in passato sente di dovere di più?
«Da ognuno ho cercato di imparare nuove cose. Per un discorso emotivo sono legato ad Adriano Vertemati, perché quando ero a Treviglio sono stato operato alla caviglia, ed al ritorno in campo dopo otto mesi di stop ero molto ansioso. Lui ha saputo darmi spazio e fiducia, e quella stagione è finita molto bene».
Con quali compagni delle vecchie squadre si sente ancora?
«Cerco di rimanere in contatto e buoni rapporti con tutti, ma è naturale che con quelli di origine serba, montenegrina e bosniaca ci sia più feeling. Tra gli italiani, sono rimasto affezionato ad Alfonso Zampogna, che ora è alla Juvi Cremona».
Fuori dal parquet, chi è Nemanja Dincic?
«Un ragazzo molto semplice, appassionato di videogame, a cui gioco tutte le sere, tranne quando c’è l’Eurolega in tv, e delle uscite in compagnia».