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Andrea Sasdelli, in arte Giacobazzi, ha una parte nella nuova serie «Summertime» di Netflix

Romagna | 09 Settembre 2019 Cultura
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Elena Nencini
Sono passati i tempi in cui Giuseppe Giacobazzi furoreggiava con «Patacca rap»; oggi Andrea Sasdelli (il vero nome dell’attore di origini alfonsinesi nda), dopo aver trovato il successo grazie a Zelig e al suo personaggio, il poveta - che incarnava un certo tipo di romagnolo - ha saputo far crescere la sua professionalità puntando ad una comicità più divertente e legata maggiormente alla quotidianità. Nel frattempo ha passato l’estate sulla riviera romagnola, da Comacchio a Cesenatico, a girare l’ultima serie tv di Netflix, Summertime.
Sasdelli, sta lavorando alla nuova serie di Cattleya. In quale ruolo?
«Ho partecipato solo a quattro puntate, ma mi sono divertito molto. Sono il papà di uno dei ragazzi, Giovanni Maini, che nella serie è Edo. È un debuttante, ma è bravo, ha una bella mimica. L’unica cosa è che ero vestito come un pirla, come un texano improbabile, con i jeans larghi, gli stivali, la famosa capezza dorata che si staglia sulla camicia, i jeans, 7-8 braccialetti, e tre anelli».
Nei panni di Giacobazzi si vestiva anche peggio, con calzini e sandali.
«Giacobazzi era una macchietta, un personaggio esasperato, poi si cresce e si cambia. Ho perso credo una parte di quel pubblico che lo amava, il personaggio è cresciuto, si è raffinato. Ma ho ancora tante soddisfazioni: a Roma uno in fila alla biglietteria per vedere un mio spettacolo mi ha detto “io manco per la Maggica (la Roma, nda) faccio la fila!”. Il cambiamento non mi spaventa mai, è una crescita».
La serie è ispirata a «Tre metri sopra il cielo» di Moccia, ha visto il film. Che ne pensa?
«Ho letto il libro, ma non è che mi avesse fatto tremare i polsi. La serie però è solo ispirata al libro e al film. E’ una commedia giovanile, l’ispirazione a Moccia è leggera».
Solitamente è abituato a portare a teatro degli one man show, mentre qui si ritrova a lavorare con attori molto giovani. Che rapporto ha avuto con i ragazzi?
«Erano tutti molto più giovani di me, anche la troupe, ma mi sono trovato molto bene. E’ stato un lavoro da professionisti. È stato divertente scoprire che Giovanni (Maini, nda), che è bolognese, mi conosceva bene, così come gli altri ragazzi. Del resto sono tanti anni che lavoro e di gavetta ne ho fatta».
La serie è girata tra Ravenna a Cesenatico, ci sono luoghi che le hanno ricordato particolari momenti delle sue estati da ragazzo?
«Sicuramente il campeggio: nella serie sono il proprietario del market del campeggio. Da ragazzo gli anni della mia adolescenza li ho passati al camping Romea. Per me rientra in una consuetudine, certo una vita passata, un po’ nostalgica, un po’ tenera. Sono stati gli anni delle spaghettate in spiaggia a mezzanotte, dei fuochi, delle serate passate a suonare la chitarra o anche a fare scherzi come nascondere la bici al custode. Allora avevano un sapore diverso. Adesso i ragazzi non le fanno più e rimangono stupiti mentre gli racconti certe storie. Del resto se non le fanno ora quando le faranno? Dormire in spiaggia ti ammazza a 40 anni passati».
A ottobre ritorna a Bologna con «Noi, mille volti e una bugia». Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Sono oltre 60 date al nord e al centro, ma anche nelle isole. E’ una minaccia: arriverò in tutta Italia. Parlerò dei miei 25 anni di convivenza forzata con Giuseppe Giacobazzi. Delle donne ho detto tutto, di mia figlia anche: adesso parlo di maschere, quelle che portiamo per sopravvivere, io parlo della mia maschera quella di Giacobazzi che ho odiato e amato, e che mi ha dato tanto».

 
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