Albiona Imeri, medico albanese: "Diventare otorino? Una strada dura"
Silvia Manzani
«Quando torno in Albania, mi sento un po’ a disagio. Sono in Italia da 18 anni, ormai mi sento a casa qui. Una certa mentalità e alcuni modi di fare non mi appartengono più». Albiona Imeri è un medico otorinolaringoiatra che vive a Ravenna dal 2016, quando il marito, anche lui albanese, ortopedico, ha ottenuto un posto all’ospedale di Lugo, per poi trasferirsi in pianta stabile al Rizzoli di Bologna, dove oggi lavora: «Io sono alla Domus Nova-San Francesco e alle terme di Cervia, occupazioni che mi permettono di conciliare meglio famiglia e lavoro, visto che ho un bimbo di cinque anni, Aris». La storia di Albiona e del suo percorso di medico affonda le radici lontano, ai primi anni Novanta, in un paesino vicino Berat: «La mia era una famiglia atea, anche perché sotto il regime non era consentito avere una fede. Io non avevo mai visto una persona straniera, né tantomeno sapevo dire una parola d’italiano. Fatto sta che dopo la fine della dittatura, nell’appartamento sotto casa mia aprì la sede una congregazione cattolica formata da un sacerdote e da alcune suore. Erano italiani. Io non avevo nemmeno dieci anni e per gioco iniziai a frequentare quell’ambiente, affascinata da una lingua nuova e da quelle persone che credevano in un Dio del quale non avevo mai sentito parlare prima». Poco a poco Albiona inizia a imparare l’italiano e diventa un po’ il tramite tra la congregazione e l’esterno: «Capitava, anche durante la guerra civile del 1997, di andare in giro insieme a loro per portare aiuti alle famiglie povere, anche quando c’era il coprifuoco». Albiona e la madre si battezzano il giorno di Pasqua, mentre fuori si sentono gli spari: «Nel frattempo, spinta dall’esempio della mia sorella maggiore, medico, e dall’Italia che vedevo in televisione, anche attraverso programmi come “Non è la rai”, mi misi in testa che avrei potuto studiare Medicina a Bologna». Gualtiero, un capo scout di Savignano sul Rubicone che ha contatti con la congregazione che vive sotto casa di Albiona, si prende a cuore la questione e decide di fare da garante: «Arrivai in Italia con lui per tentare il test e lo passai. Lui mi aiutò a trovare un appartamento con altre studentesse, pronto a sostenermi economicamente negli studi con alcuni fondi di cui disponeva. Una bellissima occasione che, mi ripetevo, non avrei potuto sprecare. Nonostante la fatica di studiare Medicina in una lingua che ancora non parlavo alla perfezione, nonostante le lacrime versate su alcuni libri di embriologia e istologia, di cui non riuscivo a imparare alcuni termini, mi costringevo a non scoraggiarmi, perché tutti si aspettavano da me i risultati». Dopo la laurea e l’esame di Stato, Albiona passa il test di specialità per Otorino: «Entrai ufficialmente a Padova ma feci tutto il percorso a Bologna. Nel frattempo, conobbi alla biblioteca del Sant’Orsola Nikolin, che sarebbe poi diventato mio marito». Con Aris appena nato e la specialità da finire, la famiglia gira un po’ tutta l’Emilia-Romagna, da Rimini a Piacenza, per lavoro: «Siamo abituati a spostarci e ad adattarci, anche se devo dire che a Ravenna ho trovato la mia dimensione. Professionalmente, in questi anni non ho incontrato pregiudizi tra i colleghi. Capita, tra i pazienti, di sentire qualche riferimento al mio cognome, soprattutto da parte delle persone più anziane. Ma sono davvero rarità». In piena pandemia, per Albiona il lavoro è necessariamente cambiato: «Avendo a che fare con il naso e la bocca delle persone e un po’ spaventata all’idea di prendere il virus e di trasmetterlo a mio figlio. all’inizio mi sono attrezzata con guanti, doppia mascherina, visiera, cuffia, babbucce. La situazione si è alleggerita poco a poco, anche se il carico di lavoro, quando hanno riaperto i servizi, è stato pesante per via delle visite pregresse da recuperare. Ora è tutto più tranquillo. Il Covid c’è ma è qualcosa con cui dobbiamo imparare ad avere a che fare. Io, in fondo, questo ho scelto di fare: è stata dura diventare medico ma lo rifarei mille altre volte ancora».