Ravenna, i 20 anni di Villaggio globale nel racconto di Andrea Caccìa

Ravenna | 17 Novembre 2019 Cronaca
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Federica Ferruzzi -Era il 9 novembre 1999 quando un gruppo di volontari diede vita all’associazione «Il Villaggio Globale» - dalla quale è poi nata l’omonima cooperativa - sull’onda di un progetto della locale Caritas diocesana che riguardava la diffusione della cultura della pace, dell’accoglienza e della critica costruttiva ai sistemi economici e finanziari. Da allora sono trascorsi 20 anni in cui l’associazione è cresciuta all’insegna del motto «Se un uomo sogna da solo è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia». 
Abbiamo chiesto ad uno dei fondatori, Andrea Caccìa, di raccontarci il percorso fatto finora. 
Caccìa, da dove siete partiti, qual è stato il primo progetto?
«Eravamo un gruppo di persone che si incontravano attorno alla Caritas e che condividevano il sogno di avviare attività in città che potessero influenzare gli stili di vita delle persone in un’ottica di equità sociale. La prima cosa concreta che abbiamo fatto è stata l’apertura, nel ‘99, del negozio equo e solidale in via Venezia. Inizialmente è stato gestito da volontari, ma nel tempo abbiamo assunto una persona. Oggi il negozio è in via Corrado Ricci perchè abbiamo deciso di essere più visibili. Certo il momento non è dei migliori ed il commercio è in difficoltà, ma per ora teniamo. Per uscire dalla nicchia a cui eravamo confinati abbiamo fatto un investimento su un bell’arredo e su una posizione visibile. Ovviamente essere in centro ci ha permesso di arrivare a più persone: oggi  siamo conosciuti da molti ravennati e da tanti turisti che, se fossimo rimasti nella vecchia sede, non avremmo mai intercettato». 
Negli anni avete trasformato una passione in una occupazione  allargando il raggio di azione alle province vicine, mentre le aree di intervento continuano a crescere...
«Già nel 2000 iniziammo a lavorare sulla formazione, mediazione sociale e progettazione partecipata. In quell’anno nacque il primo percorso scolastico di tipo interculturale che poi è proseguito per 12 anni. Ricordo che andavamo in classe ad incontrare bambini per promuovere il dialogo interculturale. Nel tempo le aree di attività sono cresciute: fino al 2008 abbiamo lavorato molto nelle scuole con proposte didattiche, poi abbiamo realizzato progetti educativi di strada per adolescenti a rischio. Poco prima, nel 2007, era nata CittAttiva e con lei il lavoro di mediazione sociale nella zona della stazione e nelle case popolari gestite da Acer. Nel 2011, con “La Darsena che vorrei”, abbiamo avviato percorsi partecipativi per Comuni ed enti pubblici. Al momento portiamo avanti interventi di innovazione sociale anche nel bolognese, nel forlivese e nel riminese». 
Villaggio Globale ha avviato anche diverse collaborazioni con soggetti del territorio, quali progetti sono nati?
«Uno dei risultati più belli è stata l’ampia rete di collaborazione con enti, associazioni ed altre cooperative sociali. Si tratta della nostra “cifra”, del nostro modo di lavorare: coltiviamo interessi con realtà con cui vogliamo collaborare  per unire le forze. Un esempio ne è la gestione della Rocca, alla quale abbiamo partecipato solo grazie alla collaborazione con Akami e cooperativa San vitale: ci eravamo innamorati del progetto di recupero di un bene comune bellissimo ma poco valorizzato, e oggi siamo nella gestione con un ruolo piccolo ma che amiamo. Il nostro impegno è quello di animarla e riempirla di attività in collaborazione con altri». 
Quali le sfide per i prossimi 20anni?
«Nel sociale, con un mondo che cambia rapidamente, la prima sfida è quella di continuare ad esserci, rimanere vivaci facendo i conti con il cambio generazionale. Guardando agli ultimi progetti, un’attività che abbiamo avviato da poco e che vorremmo portare avanti è quella relativa alle solitudini involontarie, una tendenza europea e nazionale. Ci sono sempre più persone e soprattutto anziani soli in condizioni di vulnerabilità,  una tendenza demografica che sarà in aumento e che stiamo studiando per capire quali soluzioni mettere in campo. Un piccolo progetto, a cui vorremmo dedicare sempre più tempo, è la compagnia dei racconti, dove con il pretesto di ascoltare racconti di persone anziane sole formiamo volontari che si trasformano in un orecchio attento ai loro bisogni. Gli incontri hanno prodotto racconti che abbiamo già raccolto in due piccole pubblicazioni, ma soprattutto si sono trasformati in momenti di contatto con persone sole che ora hanno nuovi punti di riferimento in caso di necessità. Questa attività ha permesso di spezzare un meccanismo di chiusura e isolamento che sta prendendo sempre più piede e ora molti anziani chiedono aiuto per fare spostamenti o ottenere medicinali». 
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