Ravenna, Carceri, Parla De Caro (ass. Antigone): "Pochi detenuti accolti fuori per lavorare"

Ravenna | 23 Marzo 2018 Cronaca
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Federica Ferruzzi - Alla luce dell’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, della riforma dell’ordinamento penitenziario, che allargherà la possibilità di accedere alle misure alternative al carcere per i detenuti, abbiamo chiesto ad Elia De Caro, presidente regionale dell’associazione Antigone - l’osservatorio sulle condizioni di detenzione nelle oltre 200 carceri italiane - di tracciare un bilancio relativo a quelle locali. Il testo della riforma, lo ricordiamo, non è definitivo e dovrà tornare alle commissioni parlamentari per l’ultimo vaglio. De Caro, partiamo dall’inizio: Salvini, in un tweet, lo ha definito un sistema ‘salva ladri’, lei cosa ne pensa? «Si tratta di una riforma che interviene solo su alcuni aspetti della vita detentiva. Si poteva fare di più, questa revisione è fin troppo timida, ma è comunque un passo in avanti. Nessuno ancora ne conosce bene i dettagli, ma non sarà uno ‘svuota carceri’: non ci sono nuove misure alternative, bensì l’aggiornamento di alcuni provvedimenti. Ad esempio viene ampliato l’affidamento in prova e viene permesso il trasferimento anche per motivi di lavoro oltre a quelli di salute e familiari. Ai fini del reinserimento sociale è fondamentale creare opportunità per l’apprendimento di un mestiere. Se una persona commette un reato è nell’interesse della società che non lo commetta di nuovo. Ora, se si butta la chiave il problema non si risolve, perchè una volta scontata la pena l’individuo uscirà dal carcere e allora saremo daccapo. A Bologna, ad esempio, si sta sperimentando il lavoro di detenuti in un’officina meccanica che li sta trasformando in operai specializzati, cosa che permetterà loro di mantenersi e pagare le spese della detenzione. L’obiettivo è creare un carcere che funzioni e alleggerire lo Stato dalle tante spese a cui deve far fronte. In questo senso la riforma va nella direzione di riconoscere maggiormente e di far sviluppare le professionalità dei singoli. Ben venga quindi che il trasferimento non sia più utilizzato solo come decompressione degli istituti». A giugno avete effettuato l’ultimo sopralluogo nel carcere di Ravenna, come lo avete trovato? «E’ proprio da Ravenna che vorremmo inaugurare il 2018 perchè nell’ultimo periodo ci sono stati segnalati episodi di suicidio e occorre un ulteriore sopralluogo. Il 23 saremo a Roma per la riunione del direttivo nazionale e lì stabiliremo una nuova data di visita. Il carcere di Ravenna, così come quello di Forlì, presenta una struttura molto datata, poco adatta ad un istituto di pena proiettato alla rieducazione, in cui svolgere attività educative ed incontri familiari in modalità protetta. In generale devo dire che la situazione a livello romagnolo è migliorata perchè è migliorato il rapporto con il magistrato di sorveglianza. Sul fronte del lavoro, però, c’è ancora molto da fare: se a Rimini solo un terzo dei detenuti lavora, ma almeno esistono datori di lavoro esterni al carcere, a Ravenna non ci sono aziende esterne in grado di impiegare detenuti. Qui esistono corsi di cucina base, di mosaico, di catalogazione di libri, per citarne alcuni, a cui accedono 45 degli oltre 70 detenuti, ma non ci sono datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria. La direzione è attenta, ma rimane difficile trovare imprenditori che abbiano voglia di ‘investire’. Diversa, ad esempio, la situazione a Bologna, dove invece si sono mosse ditte importanti quali Maccafferri e Bonfiglioli. Per questo a Ravenna servirebbe una campagna di sensibilizzazione tra l’imprenditoria locale. Nella nostra regione c’è sempre stata una situazione di maggiore attenzione al volontariato rispetto ad altre realtà, ma devo dire che anche qui stiamo riscontrando il trend degli istituti del Nord Italia, dove c’è una forte presenza di detenuti stranieri, per cui spesso è più difficile costruire percorsi alternativi per mancanza di pregressi contatti con i servizi o di reti familiari di riferimento, e un sottodimensionamento del personale educativo che causa difficoltà nella redazione di progetti. Siamo messi meglio di altre realtà regionali, ma continuiamo a scontare un forte tasso di presenze, un sovraffollamento e un sottodimensionamento degli organici». Qual è invece la situazione nella casa circondariale di Rimini? «Per quanto riguarda Rimini è in programma, a breve, il trasferimento a Reggio-Emilia della sezione che ospita i detenuti transessuali. Nel carcere emiliano è infatti presente uno spazio che un tempo era riservato all’ospedale psichiatrico giudiziario dove, ci auguriamo, questi detenuti possano trovare migliore collocazione. Il trasferimento, in sé, non comporta automaticamente il miglioramento delle condizioni, ed è per questo che bisognerà ricostruire un tessuto di volontariato attivo, la predisposizione di attività mirate ed il coinvolgimento dell’Ausl per garantire assistenza adeguata a questi detenuti. Il carcere di Rimini, a livello strutturale, non è messo peggio di altri, ma sconta mancanze storiche, ad esempio non è mai stato approvato un regolamento di istituto, esiste solo un documento interno».
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