Integrazione, Albano Oshafi dall’Albania a Ravenna. «Accolto come un figlio a Santa Teresa»

Ravenna | 26 Febbraio 2022 Mappamondo
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Federica Ferruzzi
«Alla luce dei miei quasi 28 anni trascorsi nella struttura di Santa Teresa a Ravenna, vorrei invitare i giovani a non nascondersi dietro alla pandemia e a non dimenticare l’umanità. Vorrei potessero conoscere la dedizione con cui questa struttura mi ha accolto e che potessero, anche loro, imparare quello che ho imparato io». A parlare è Albano Oshafi, un ragazzo arrivato dall’Albania nel 1994 grazie all’interessamento di Don Filippo Di Grazia, una figura di grande rilievo del mondo religioso riminese, che si adoperò per procurargli un visto che lo portasse in Italia.
Albano era stato colpito da una grave malattia che lo aveva costretto ad una sorta di immobilismo, tanto che fu il fotografo a dover andare a casa sua per scattare le foto da mettere sul passaporto. «Un amico di mio padre aveva nipoti a Rimini che parlarono di me a Don Filippo. Nel 1993 venne in Albania e ci conoscemmo: lui promise che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi, ma io non avrei mai dovuto perdere la speranza in Dio. Erano anni difficili, davanti all’ambasciata italiana c’era sempre una fila lunghissima, ma un giorno mio padre venne chiamato e mi disse che avevo ottenuto il visto. Mia madre pianse molto, ma alla fine mi fecero partire e un amico di famiglia mi accompagnò a Bari, dove mi aspettava una carrozzina inviatami da Santa Teresa. Ancora non lo sapevo, ma quella sarebbe stata la destinazione finale. Arrivai alle due di notte a Rimini, presso Don Filippo: lì riconobbi un ragazzo albanese, figlio di un importante ginecologo, che stava studiando in Italia. Piansi molto quando seppi che dovevo proseguire il mio viaggio verso Ravenna, ma quando arrivai a Santa Teresa venni accolto da un gruppo coeso che mi fece sentire a casa». 
Non potendo però essere ricoverato nel reparto bambini, a causa di situazioni gravi allora presenti, Albano venne inserito nel reparto riservato agli uomini. «Allora c’era Romano Caroli, che dal ‘94 al 2011 mi ha accudito come fossi suo fratello: Romano era un confratello, che con Raffaello Marcon insegnava anche in carcere. In quel periodo ho potuto godere di un amore mai ricevuto: anche quando andavo in ufficio da don Matteo trovavo sempre un sorriso». 
Nel suo percorso Albano ha conosciuto anche il cardinale Ersilio Tonini. «Ricordo quando divenne cardinale, era il 2 novembre del 1994, e insieme a lui papa Giovanni Paolo Secondo nominò anche un albanese che aveva fatto 28 anni di galera durante il regime comunista. Tonini fece moltissimo per Santa Teresa, era dotato di grande umanità. Era il periodo delle stragi del sabato sera e nel ‘95 andò al Baccara a parlare ai ragazzi». 
Ora Albano è stato spostato a San Pietro in Campiano, nel centro riabilitativo gestito dalla cooperativa sociale terzo millennio. «Qui ci sono altri giovani, ma gli anni a Santa Teresa non li dimenticherò mai. Ricordo quanto si prodigava Suor Fernanda quando ancora la cucina accoglieva le richieste dei più bisognosi in cerca anche solo di un panino, o il lavoro di un gruppo di giovani, amici di Don Fuschini, che fondarono la Ronda della Carità. Porterò questa realtà sempre con me: la mia malattia mi ha portato a conoscerla e vorrei ricordare che a volte basta un piccolo gesto per aiutare chi ci sta vicino».
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