Giorgio Comaschi racconta la vita di Secondo Casadei al Socjale
Federico Savini
«E’ una vita che penso che il mondo sia cambiato con lo shake. La gente ha smesso di abbracciarsi e il ballo è proprio diventato un’altra cosa. Prima aveva un preciso ruolo sociale, importantissimo per la gente, e Secondo Casadei questa cosa la capì meglio di tutti». Probabilmente era destino che Giorgio Comaschi, eclettico attore, giornalista e conduttore bolognese, prima o poi dovesse incontrare «L’uomo che sconfisse il boogie». E così sabato 3 febbraio alle 21.30 questo incontro verrà celebrato su un palcoscenico adattissimo, come quello del teatro Socjale di Piangipane, per la prima nazionale di Secondo Lui. L’Amore ai tempi del Valzer, spettacolo scritto e portato in scena da Comaschi e Giuliano Paco Ciabatta, all’interno di una due giorni che il Socjale dedica a Secondo Casadei (vedi box in pagina).
«In qualche modo questo spettacolo, che abbiamo proposto in anteprima a Ravenna, alla scorsa edizione di Giovinbacco, si deve a quella strana chimica che ancora oggi fa capo a Lucio Dalla - dice Comaschi -. Questo perché sia io che Giuliano Ciabatta abbiamo lavorato con Lucio, ma non ci eravamo mai conosciuti».
Quindi, come siete arrivati al progetto su Casadei?
«Attraverso un amico comune, Luca “il buono”, fonico di tante avventure musicali. Quando ha saputo che Giuliano era diventato direttore artistico di Casadei Sonora lo ha messo in contatto con me, per via delle biografie teatralizzate di cui mi occupo da anni. Ci siamo incontrati ad un concerto e Giuliano mi ha raccontato del suo lavoro coi Casadei e dell’epopea della musica romagnola. E’ finita che mi sono innamorato della figura di Secondo e insieme a Riccarda e Lisa Casadei abbiamo definito il progetto».
Racconterete in scena la vita di Secondo?
«Sì, dagli albori alle invenzioni musicali, come il rapporto con il jazz e le musiche straniere in genere, fino al grande successo e poi al passaggio di consegne al nipote Raoul, che è riuscito a portare il liscio sul proscenio nazionale. Più di tutto, però, ci soffermeremo sugli anni giovanili e l’esperienza della guerra, con aneddoti, immagini, racconti e anche alcune canzoni, grazie a Giuliano, come Il Passatore o l’autobiografica Il Liberatore».
Comaschi, ma lei balla il valzer?
«No, purtroppo no. L’unica musica che ho ballato è il tango argentino. Lo imparai a Turisti per caso, insieme a Guccini, e una volta tornati a Bologna siamo pure andati a scuola di ballo!».
Il titolo dello spettacolo fa riferimento all’«amore». E’ quello che l’affascina in particolare?
«E’ un punto chiave, e siamo stati anche signorili a parlare di “amore”, perché il ballo è proprio una metafora sessuale. Del mondo del liscio mi affascina soprattutto l’atmosfera di campagna, con le aie e il ballo di una volta, con i suoi rituali di corteggiamento. L’amore ai tempi del valzer, insomma! Portiamo sul palcoscenico un racconto che attraversa il ‘900, senza speculare sulla nostalgia o idealizzare alcunché. E’ semplicemente un altro mondo, che ci fa piacere ricordare e che può anche far ridere, vedi quando parlo del carattere dei romagnoli, che spesso appaiono un po’ svitati a chi li guarda da fuori. Poi c’è, come dicevo, la musica, con un motivo conduttore inedito di Giuliano e l’idea che questo spettacolo possa anche essere portato nelle feste e nelle piazze, magari con un’orchestra di musicisti che facciano ballare il pubblico».
Balli di coppia, s’intende…
«Certo che sì! Anche se non sono un frequentatore abituale di balere, ogni volta che mi capita di entrarci vengo come ipnotizzato dall’atmosfera che crea il ballo di coppia. Ha fascino, c’è poco da fare, sembra che nella prossima edizione di Coliandro ci sarà un episodio incentrato su questo mondo. Il desiderio che esprime il ballo di coppia è ben altra cosa rispetto a come si balla oggi, senza contatto e magari con gli occhi fissi sul telefono…».