Giacomo Scudellari presenta il suo album «Lo stretto necessario» al Socjale

«Quello dello stretto necessario è un’idea che serpeggia in tutto il disco. Viviamo un’epoca che ci spinge continuamente allo stremo delle nostre forze, secondo l’imperativo del non accontentarsi mai. E invece, qualche volta, può aver senso fermarsi e fare il punto su quello che ci serve per davvero. L’invito non è quindi quello di “accontentarsi”, ma ci capire che cosa ci rende felici, in un’ottica esortativa e solare, nei limiti del possibile, s’intende». Vien da dire che «la prende come viene» Giacomo Scudellari, ma la sua ironia e la sua leggerezza sono perfettamente coerenti a una poetica pienamente consapevole, che ha radici certe e obiettivi artistici chiari. Di professione avvocato ma con il conservatorio alle spalle, che gli ha lasciato in sorte una certa abilità con la sei corde e il pianoforte, Giacomo Scudellari coltiva la sua vocazione cantautorale da diversi anni, e oggi dà seguito all’ep «Santi o non santi» con il nuovo album «Lo stretto necessario», che il cantautore presenterà dal vivo al teatro Socjale di Piangipane martedì 10 aprile. Il disco esce per l’etichetta russiana Brutture Moderne e a produrlo c’è Francesco Giampaoli, autore degli spumeggianti arrangiamenti che coinvolgono musicisti del circuito Sacri Cuori e un paio di turnisti di extralusso come Stefano Pilia (Afterhours e mille altre cose) e il romagnolo Nicola Peruch (Cremonini, Zucchero, etc…). Ma come si porta sul palco un disco così?
«Posso farlo da solo ma stiamo puntando a un quartetto molto versatile - spiega Giacomo -, tanto con polistrumentisti come Giampaoli ed Enrico Farnedi, mentre al Socjale suonerà la formazione del disco quasi per intero, dando quindi risalto agli arrangiamenti. Cercheremo poi di promuovere il disco suonando in quartetto e parteciperemo ai vari concorsi sulla canzone d’autore».
Qual è la tua formazione musicale?
«Pur facendo l’avvocato la musica è sempre stata più che una passione. Il cantautorato di stampo classico è stato la mia formazione e mi ha portato a scrivere cose mie. Questo album è precipitato di un’attività che porto avanti da alcuni anni. Nel 2013 ho aperto diversi concerti per i Gang, solo voce e chitarra, e questo mi ha sciolto parecchio sul palco. Poi sono entrato in contatto con Cisco, ex Modena City Ramblers, che mi ha fatto i complimenti. Insomma, vengo da quel mondo lì».
Si sente, ma tutto sommato il piglio è più ironico che «combat folk».
«Lo penso anch’io, le mie radici sono nel combat-folk ma ho un mio linguaggio, non porto bandiere e mi piace direzionare messaggi sotto pelle, senza per forza usare il megafono. Certe volte arrivano pure meglio».
Lavori molto sui testi ma il disco rivela un’attenzione al dettaglio musicale che non tutti i cantautori italiani hanno…
«In questo l’incontro con Giampaoli è stato determinante, mi ha fatto scrollare di dosso quei residui di pensiero secondo i quali il testo dev’essere l’unica cosa che conta. Io lavoro sulla scrittura e Francesco sugli arrangiamenti, abbiamo in comune un gusto per l’artigianato musicale e ci siamo trovati facilmente a metà strada. Con tutta la concorrenza che c’è oggi, nel mercato musicale, non si può produrre in modo sciatto, per scavarsi una nicchia in questo mondo è necessario tanto lavoro e una cultura aperta». (f.sav.)