Roberto Cimatti a Venezia con il corto «L’incontro»

Faenza | 08 Settembre 2017 Cultura
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Federico Savini

«Il pugilato è una metafora efficace della lotta quotidiana che affrontano i giovani italiani di origine straniera, quelli che non hanno una vera e propria cittadinanza e di conseguenza si ritrovano continuamente a riflettere, in maniera molto concreta, sulla loro identità, fino al punto di sbatterci il naso». E’ piuttosto chiara la metafora esistenziale che ha portato il direttore della fotografia faentino Roberto Cimatti all’interno della palestra del Tpo di Bologna, per curare le luci e le riprese de L’incontro, cortometraggio dei bolognesi Michele Mellara e Alessandro Rossi, che debutterà alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia proprio venerdì 8 settembre (prima proiezione, con repliche sabato 9 nella sala del Casinò) all’interno della sezione a concorso MigrArti, promossa dal Mibact allo scopo di incentivare il dialogo interculturale. Nel corso, il sedicentte Amin, di origini marocchine, deve affrontare per il titolo juniores il famigerato «Ghanese», attraversando una serie di vicissitudini già prima del match, insieme al burbero allenatore (Bob Messini) e alcuni amici poco raccomandabili.

«Nonostante il contesto drammatico e i problemi veramente concreti legati alla cittadinanza – spiega Roberto Cimatti -, il film è giocato su toni leggeri, quasi da commedia».

Il pugilato è stato spesso usato, al cinema, in chiave metaforica…

«Sì, in questo caso la lotta fa parte delle quotidianità degli immigrati alle prese coi permessi di soggiorno, ma è anche una tappa della crescita, una sfida familiare e personale che attende questi ragazzi dopo la scuola, piuttosto bruscamente. Il “dietro le quinte” dell’incontro cerca di cogliere questo genere di sentimenti, un affastellarsi di emozioni, tensioni e piccoli eventi».

Come ha conosciuto i registi?

«Conosco Mellara e Rossi da una quindicina d’anni, mi avevano chiamato per il loro lungometraggio di debutto, Fortezza Bastiani, ma non riuscimmo a lavorare insieme. Loro negli anni hanno realizzato ottimi lavori documentaristici istituzionali, spesso dal taglio etico e sociale. Siamo rimasti in contatto e quando il Mibact li ha selezionati per MigrArti mi hanno chiamato».

Com’è stato lavorare alla palestra del Tpo?

«La parte più complicata è stata allestire e disallestire il set ogni giorno, perché la palestra non solo è attiva ogni pomeriggio, ma oltre a quella pugilistica ha altre aree, quindi per poter girare dovevamo sgomberare alcune parti, sistemarle per le nostre esigenze di ripresa e poi far tornare tutto come prima. Mantenere questa continuità di luci e ambiente ha avuto una sua difficoltà».

Che scelte ha fatto sulla luce?

«Coerentemente al tono del film ho cercato di ottenere un risultato solare, nei limiti di una palestra. Poi ci sono momenti più introspettivi che vengono sottolineati con un lavoro di saturazione che in qualche modo “strania” dalla narrazione lineare, per concentrarsi si pensieri del protagonista».

Il cast è composto da attori esordienti che hanno davvero il problema della cittadinanza. E’ sentito?

«Sentitissimo, ed è vero che si tratta di esordienti assoluti, tanto che i registi hanno fatto un casting molto lungo proprio per testare le capacitò attoriali dei candidati da zero. L’idea che mi sono fatto è che a Bologna la comunità sia molto unita e quindi i problemi legati ai permessi di soggiorno vengono affrontati in maniera per lo più solidale, cercando di combattere l’isolamento».

A cosa sta lavorando adesso?

«In agosto abbiamo terminato la post produzione del primo lungometraggio di Alessandro Tamburini, un giovane regista di Barbiano in arrivo con la commedia Ci vuole un fisico. E’ molto determinato e ora si sta occupando della distribuzione, che sarà più larga possibile. Nei giorni scorsi ho girato alcune seconde unità di Don Matteo, forse la serie tv italiana più longeva di questi anni. Mi affianco al collega Alessandro Pesci e sempre con lui spero di poter lavorare alla seconda edizione della serie La porta rossa, che Carlo Lucarelli sta scrivendo dopo il successo della prima, a cui già avevo preso parte».

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