Lunedì 12 al teatro dei Filodrammatici Mario Gurioli parla dei soprannomi romagnoli
Federico Savini
«Quando morì il prete di San Biagio, sui manifesti funebri fu necessario aggiungere, oltre al nome di battesimo, anche la scritta “detto E gob”. E quando dico “necessario” devi credermi, perché anche se ovviamente era conosciutissimo in paese, senza il soprannome nessuno avrebbe capito di chi si parlava!».
Si intitola, non a caso, Cvãnd che e’ soranõm e’ cunteva piò de’ nõm la serata che vedrà il professor Mario Gurioli relatore al teatro dei Filodrammatici di Faenza, per il secondo «Lõn ad Mêrz» del 2018, lunedì 12 marzo alle 20.30. Il riferimento è, naturalmente, all’usanza di ricollegare le persone non tanto al loro nome «ufficiale» - quello di battesimo corredato dal cognome -, quanto al soprannome, al nomignolo che nel mondo contadino veniva affibbiato molto spesso come «nome di famiglia» e del quale permane l’eco anche nel presente, sebbene le ultime generazioni abbiano continuato sì, a usare i soprannomi, ma in modo diverso e soprattutto senza farlo diventare più importante rispetto al nome vero e proprio.
«L’importanza del soprannome nella cultura tradizionale è qualcosa che ho toccato con mano anche quando insegnavo a Brescia e nel Veneto – racconta Mario Gurioli -, quindi non è un’esclusiva romagnola, ma presumibilmente una costante di tutti i luoghi che hanno un forte retroterra contadino (vedi anche solo i romanzi di Verga, nda). Una forma tipica di soprannomi derivava certamente dall’aspetto fisico, dal gagio al moro, ma di indicativo della mentalità di allora c’era il fatto che la donna la tuleva e soranõm dal marito. La moj d’ Pirò diventava la Pirona, ad esempio, ma valeva anche per le sorelle, vedi la Zabutena a Faenza, sorella di Zabuten. Se ci fai caso, è uguale a quel che accade in Russia: lì è proprio una cosa ufficiale, la moglie di Gorbaciov si chiama Gorbaciova».
E’ però un’altra la più comune caratteristica dei soprannomi romagnoli. «Molto spesso la derivazione era dalla località di provenienza – specifica Gurioli -, in particolare dalla casa. A Faenza, ad esempio, era tipico che chi veniva da sopra la via Emilia portasse con sé dietro il suo soprannome. Il famoso enologo Giordano Zinzani a Faenza è “diventato” un Claretta per via del nome della casa, di San Mamante, da cui veniva la sua famiglia. Ci sono documenti del 1400 che la chiamano Casa Clara, quindi ha origini molto antiche, non c’è da stupirsi che abbia perdurato più dei nomi “ufficiali”. Anche le osterie avevano soprannomi, quella Dal tre patac era ad esempio gestita da tre ragazze nel Borgo Durbecco e ovviamente non si chiamava davvero così».
Non è invece cambiata nel tempo l’usanza di affibbiare i soprannomi a causa di una caratteristica fisica, in genere un difetto del malcapitato. «Nomignoli non proprio lusinghieri come E sciorbal erano all’ordine del giorno – prosegue Gurioli – e nel corso della serata ai Filodrammatici chiederò al pubblico di sottopormi soprannomi da loro reperiti o ricordati, per cercare di capire da dove venivano. Un aspetto che finirà per perdersi, e si vede ancora solo con gli anziani, è quello di aggiungere il soprannome nel manifesto funebre, con il nome seguito da “detto” e il soprannome. Su questo giocavamo molto con Giuliano Bettoli, quando alla radio facevamo il personaggio di E sfroc, perché lui non voleva finire su quei manifesta con la formula del “detto E sfroc”, che proprio non gli piaceva».
Detto che, pur spariti dai manifesti funebri, qualche volta i soprannomi con il “detto” davanti si ritrovano nelle liste elettorali, oggi certamente i nomignoli sono molto cambiati. «Oggi e’ soranõm è quasi sempre un semplice accorciamento del nome – conclude Gurioli - o magari un’esotizzazione, come Enrico che diventa Henry o Pierfrancesco che si riduce a Pierre. E’ un’evoluzione che in qualche modo riecheggia l’imbastardimento del dialetto, diventato ormai “italiano di Romagna”. E’ parecchio che non sento persone giovani chiamate con nomi poco signorili come Schizò o Squez. C’erano dei soprannomi veramente terribili a volte!».