IL CASTORO | L’utopia europea è ancora viva e pienamente realizzabile

Faenza | 31 Maggio 2017 Blog Settesere
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A scuola abbiamo svolto la simulazione di prima prova, il tema per chi è ancora abituato a ragionare in sessantesimi. I lettori a questo punto penseranno: che ci importa? Aspettate un secondo, stavolta l'articolo lo prendo da lontano. Ebbene, la traccia che ho scelto riguardava le cosiddette utopie possibili. Ecco, il punto è: esiste effettivamente un'utopia possibile? Abbiamo visto i più grandi pensatori del XIX secolo sbattere letteralmente il muso contro la realtà del XX: il positivismo, che professava cieca fede nella scienza come progresso dell'umanità è stato smentito dalla bomba atomica, scienza e tecnologia al servizio della morte, sebbene Marx ed Engels avessero teorizzato una società più giusta e senza classi, Stalin deve aver smesso di leggere il Capitale una volta scorta la frase «dittatura del proletariato», senza rendersi conto che essa doveva essere solo una fase transitoria e non permanente. Ma un sogno sopravvive: è quello di un tedesco che ha dato tanto alla filosofia occidentale. Il sogno di Immanuel Kant di un'Europa unita è sopravvissuto anche al secondo conflitto mondiale grazie a due italiani, Rossi e Spinelli, che, mossi dal sogno di un futuro migliore, hanno mantenuto viva quell'idea per farla diventare realtà. Realtà che è comunque ben lontana dal poter essere definita come compiuta ma che comunque è riuscita a generare un'ulteriore utopia: da 70 anni nel vecchio continente regna la pace (se si escludono la guerra dei Balcani e la questione russo-ucraina perché entrambi avvenuti al di fuori dei confini dell'Ue), il periodo più lungo di non-belligeranza mai registrato tra i monti Urali e lo Stretto di Gibilterra. Per quelli nati dopo il 1945 infatti la pace significa la normalità, non una tregua momentanea tra due schieramenti contrapposti, utile solo a predisporsi per una guerra futura. Nel continente più piccolo del globo sta accadendo l'esatto opposto di ciò che Orwell nel 1948 teorizzava sarebbe accaduto a distanza di 30 anni: in «1984» Eurasia, Estasia ed Oceania vivono in uno stato di «guerra permanente», oggigiorno invece 28 paesi (scusate... volevo dire 27) hanno capito che attraverso il sentiero della convivenza e dell'unione si può giungere al traguardo della pace perpetua. Socio-economicamente parlando l'Europa ha cercato di resistere a tutte le sirene delle varie superpotenze, mantenendo fede al motto «in medio stat virtus». Né ultraliberisti come gli Usa né ultrastatalisti come l'Urss, a metà strada tra il liberalismo occidentale e le politiche sociali della socialdemocrazia. Questo modello politico viene comunemente chiamato Terza Via, una cosa non troppo dissimile, dal punto di vista economico, da quanto affermò a Camaldoli nel 1943 il futuro gotha democristiano. Un modello dove lo Stato è presente sul mercato in concorrenza ai privati, ma non è totalizzante o totalmente escluso da esso, e dove pone tutti sulla medesima griglia di partenza: se qualcuno taglia il traguardo per primo tanto meglio per lui, ma chi si piazza negli ultimi posti non viene dimenticato. Purtroppo la deriva liberista degli ultimi anni non ha fatto altro che accrescere la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e alimentare lo spettro del populismo e dell'isolazionismo. C'è chi sta cercando di costruire muri che pensavamo di aver abbattuto una volta per tutte la sera del 9 novembre 1989. Non abbiamo imparato nulla dalla storia: una società che si chiude in se stessa è una società destinata a morire, l'autosufficienza non è altro che una mera utopia, nel suo senso dispregiativo; dobbiamo quindi riportare al centro la dignità umana. Al contrario di quanto è stato fatto con l'Italia, che è stata creata prima dal punto di vista geopolitico e poi da quello etnografico («fatta l'Italia dobbiamo fare gli italiani!»), dobbiamo creare Europa ed europei di pari passo: l'obiettivo è realizzare un sentimento post-nazionalista che ci spinga prima di tutto a sentirci cittadini europei, poi italiani, francesi, tedeschi, eccetera. Le circostanze attuali, al maggio 2017, possono essere uno spunto per l'Europa che, stretta tra Trump e Putin, ora deve trovare la via per far valere di più la propria voce e diventare più unita. François Furet sbagliava nel '95 a dire che l'idea di una società diversa da questa è quasi impossibile da pensare, perché un futuro c'è e non è un'utopia: si chiama Europa, ed è una realtà.

Davide Marani

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