Cavina e Bonetti a teatro con «Made in Romagna»
Federico Savini
«Siamo due vitigni autoctoni. Vittorio magari è un Bursòn e io un Sangiovese di collina, ma siamo entrambi doc». Cristiano Cavina non vede l’ora di «coronare la sua carriera» - parole sue - al teatro di Faenza raccontando le differenza tra la Bassa e la Romagna-Toscana, ma questo argomento non sarà che uno dei leitmotiv dello spettacolo che porterà lo scrittore casolano sopra un vero palcoscenico insieme a Vittorio Bonetti, pianobarista e cantautore di Alfonsine noto a tutti come il «Juke Box Umano» delle Feste dell’Unità dagli anni ’80 in poi. «Made in Romagna» andrà in scena al Masini di Faenza sabato 27, alle 21, uno spettacolo sicuramente non ortodosso, andato in scena una volta sola (qualche settimana fa al Diego Fabbri di Forlì), che prevede il racconto di tante storie e l’esecuzione di tante canzoni, ma prevede anche che il pubblico faccia richieste e, perché no, che canti pure.
«Sarà un caos organizzato - dice Cavina -, anzi, un buttasù organizzato!».
Nessuno di voi è propriamente un attore, ma è facile immaginarvi a vostro agio a teatro…
Cavina: «E’ vero, non è esattamente teatro, saremo semplicemente Vittorio e Cristiano, senza muro tra noi e il pubblico. E giusto un paio di sedie, un tavolino, una chitarra e un pianoforte in scena. Sarà forse la prima veglia del Masini (Cavina usa il rivelatorio termine «veglia», tipico toscano, in luogo di quello che nella gran parte della Romagna è il «trebbo», nda).
Bonetti: «Per certi versi Cristiano è meglio di un attore, la sua naturalezza emerge sempre, sia nella scrittura che sul palco, dove è disinvoltissimo. La dice lunga sulla spontaneità da cui lo spettacolo è nato, senza calcoli».
Appunto, come vi è venuta l’idea?
Cavina: «Tutto è nato da una serata in cui ci siamo incontrati alla Bottega Matteotti di Bagnacavallo, chiamati da Michele Antonellini. La serata andò benissimo e ci chiesero di replicarla a Cà di Lugo. Andò ancora meglio, così ho pensato di “buttarla lì” ai ragazzi di Accademia Perduta. Sai com’è, il Masini è un po’ il coronamento di una carriera. E, insomma, c’han detto sì!»
C’è tanta Romagna nello spettacolo? La Bassa e la Romagna Toscana sono tanto diverse?
Bonetti: «Veniamo da luoghi molto diversi. Io vengo dalla nebbia e i casolani vedono il mare dalla montagna. La distanza cambia le culture e l’ho visto bene in collina. Da quelle parti si sente ancora un attaccamento alla comunità che in pianura si sta perdendo. La mia identità è molto aggrappata alle canzoni».
Cavina: «C’è tanta Romagna e ci sono anche le differenze, a cominciare dal fatto che Vittorio è comunista e io son cresciuto in una famiglia in cui manco si potevano nominare i comunisti! Però l’attaccamento alla Romagna è lo stesso. Abbiamo mescolato parole, racconti, musica e canzoni, alcune conosciute, altre meno. Le storie ci escono un po’ da tutti i pori, sia mie che di altri autori. Parliamo della terra ma anche della vita e di altre cose, come le dichiarazioni d’amore tardive».
Come quella per Bonetti?
Cavina: «E’ stato tardivo ma non per colpa mia: era comunista, finché mia nonna è stata in vita io alla festa dell’Unità non potevo mettere piede! Però di Bonetti si favoleggiava, a Casola era tipo Michael Jackson!».
Bonetti: «So che Cristiano sentiva parlare di me al bar, si era convinto che io fossi tipo Bruce Springsteen (ok, non fanno lo stesso nome ma si sarà capito che voliamo alto, nda). Io ho scoperto Cristiano in tv, perché Zucconi parlò di un suo libro da Fazio. Poi scoprii che faceva il pizzaiolo e cominciai a sospettare che, insomma, fosse uno da conoscere. Mi venne a sentire una sera a Casola e mi portò un suo libro, con la dedica “Per il grande Bonetti”. E poi canta anche bene!».
Lo spettacolo prevede tanta improvvisazione?
Cavina: «Beh, diciamo che non è mai uguale, non son buono di fare il canovaccio! C’è l’ancoraggio delle canzoni, ma il bello è andare fuori tema, perdersi nelle storie».
Bonetti: «Una specie di traccia c’è ma il bello di Cristiano è la disinvoltura nel racconto, a recitarla pari pari sarebbe molto meno bello. Con le canzoni io annodo i fili del suo percorso, raccontando anche di me».
Libro preferito di Cavina?
Bonetti: «E’ sempre il primo che mi ha regalato, Nel paese di Tolintesàc, ma mi piace tantissimo anche Romagna Mia!».
La canzone che preferisci sentir suonare a Bonetti?
Cavina: «Futura di Lucio Dalla. E’ famosissima, ma in realtà non si sente così spesso, anche perché è difficile farla bene e Vittorio ci riesce. Poi c’è un misconosciuto pezzo romagnolo, che si chiama Tot ar marcorda te, di una dolcezza incredibile. Cos’ha di speciale questa canzone lo raccontiamo in scena».