IL TESSITORE DEL VENTO | Beati i poveri

Emilia Romagna | 12 Dicembre 2022 Blog Settesere
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Guido Tampieri - Beati i poveri. Non solo nel regno dei cieli, che lo sappiamo da 2.000 anni e ciononostante ci affanniamo a diventare ricchi, col rischio di non passare dalla cruna dell’ago. Da qualche tempo anche in terra. Dove sono in cima ai pensieri di tutti, le organizzazioni caritative naturalmente, ma anche le associazioni di categoria, i singoli cittadini e in primo luogo i partiti politici.
In polemica fra di loro su chi ha fatto, fa, farà di più per i lavoratori, i precari, i deboli, gli svantaggiati, la plebe, gli scarti, come li chiama Papa Francesco. Che a dire il vero non si capisce nemmeno chi li abbia scartati, come possano crescere a dismisura e la loro condizione peggiorare sempre più, se tutti si fanno in quattro per aiutarli. Forse è un po’ anche colpa loro, che non hanno una gran voglia di lavorare, che preferiscono farsi pagare poco per via di un fisco nemico o, in fondo, gli va bene così. Ronald Reagan non solo riteneva giusto che i ricchi diventassero sempre più ricchi e che i senzatetto vivessero sotto un ponte, visto che questa era la volontà divina, ma credeva che quei poveretti fossero anche contenti della loro condizione.
Un po’ come i percettori del reddito di cittadinanza, che sembra, agli occhi dei detrattori, la più desiderabile delle condizioni quando altro non è che un mezzo per alleviarne le sofferenze materiali ed esistenziali. Uno strumento ordinario, necessario, mal congeniato e dunque da correggere. Senza caricarlo di altri significati ideologici e speculativi. Come accade nella disputa attorno agli atti e agli intendimenti di questa destra «sociale». Che pare aver conquistato la ragione e il sentimento di commentatori e intellettuali in cerca di nuove sensazioni. C’è da credere che le troveranno.
Le scelte di questo Governo degli italiani per gli italiani (Conte, scimmiottando Lincoln, diceva del popolo per il popolo, ma sempre demagogia è) non sono di difficile lettura. Anche evitando di infierire misurandone la coerenza con le affermazioni fatte in passato (clamorosa quella sulla riduzione delle accise sulla benzina) allorquando si cerchi nella manovra quel tratto di equità sociale che le si vorrebbe accreditare non si trova nulla che la testimoni. Solo un vorrei ma non posso e tanta, tanta propaganda. Mentre salari e pensioni affogano senza soccorsi nel mare dell’inflazione e i favori fiscali privano la sanità e la scuola di fondamentali risorse. E la comunità di un ordine morale. Non mi spingo a dire che il Governo Meloni prenda ai poveri per dare ai ricchi ma certo la sua azione non si ispira a principi solidali. Che, malgrado i maltrattamenti subiti, restano il fondamento etico della sinistra. Si aggirano per l’Italia due giganteschi fraintendimenti.
Frutto per un verso della narrazione della destra e per un altro dello smarrimento culturale che si è prodotto fra le fila di una sinistra carica di frustrazioni e di risentimenti come solo lei, in certi momenti, sa essere. Uno riguarda la libertà, l’altro la giustizia. Valori che sono tutto. Un tempo identificativi, diceva Bobbio, rispettivamente dei due campi ideali in cui l’umanità si divide da sempre e oggi impudentemente rivendicati e incautamente accreditati in esclusiva alla destra. Libera e sensibile laddove la sinistra sarebbe prevaricatrice e sorda alle istanze sociali. Le cose non stanno così. Il divertente quotidiano che si rappresenta nientemeno che depositario della «Verità», come lo fu un tempo l’organo del Pcus «Pravda», a proposito della sentenza che attesta la legittimità dei provvedimenti adottati dai Governi passati per fronteggiare la pandemia, ha titolato «La Consulta benedice il regime». Regime per questa destra è un Governo che tutela le persone fragili, vessatore è uno Stato che chiede ad ognuno di contribuire al bene comune secondo le sue possibilità, prevaricatore è ogni limite posto all’arbitrio sociale e alla discriminazione civile. Con buona pace di tre secoli di pensiero liberale. Quasi mai la rappresentazione rende giustizia alla realtà.
Oggi va di moda dare addosso alla sinistra e in particolare al Pd, che ne rimane l’espressione più rappresentativa. Fin quasi all’irrisione. Che stia al governo o all’opposizione, che assuma posizioni radicali o moderate. «Dai a che can» dicono dalle mie parti. E così sarà fino a che non passi la nottata. Che i candidati alla Segreteria faticano a rischiarare. Nella ricerca di una spiegazione alla crisi della sinistra si consumano le operazioni più spericolate. Dove il rilievo dei vizi del Pd, certamente grandi, finisce per trasformarsi in elogio alle virtù civili della destra, allo stato indimostrate. Qualcosa che più che a una critica somiglia a una resa. In una battaglia per l’egemonia che si annuncia aspra. Il vuoto di fiducia che si è ingenerato nel rapporto coi ceti popolari si è riempito (in parte perché poi c’è l’astensionismo) ma non di buona politica e men che meno di scelte di sinistra, come vorrebbero alcuni maestri di pensiero. Forse abbiamo idee diverse su cosa dovrebbe fare una forza riformatrice per cambiare lo stato di cose presenti. Ho vissuto abbastanza per rendermi conto che lo scollamento è forte. Ma ho imparato a distinguere il loglio dal grano e la percezione delle cose dalla loro realtà.
L’onesto Letta ha forse difettato nei tempi e nei modi ma ha proposto a Governi in cui non ha mai avuto la maggioranza molte idee di sinistra. Lo Ius Soli lo è, eccone, sul piano civile e su quello sociale, e così il salario minimo, e il prelievo sui grandi patrimoni per sostenere i percorsi dei giovani e la tassa sulla successione, che ogni Paese decente ha messo. Nondimeno è opinione diffusa che il Pd sia venuto meno alla sua missione, che sdegni i lavoratori, che abbia perduto la passione politica e civile. Che trabocca, invece, in Fitto, Santanchè, La Russa, Fontana, Romeo...e il compagno Fasolari. Quanto hai peccato, sinistra, per farti odiare tanto dai tuoi figli!
 
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