Elisa Ravaglia racconta il successo del lungometraggio «Luther Blissett», ospiti speciali i Wu Ming

Elena Nencini
Coppia sul set e nella vita, Elisa Ravaglia e Dario Tepedino sono pronti per una nuova avventura con la telecamera, ma intanto il loro ultimo lavoro, il lungometraggio "Luther Blissett – informati, credi, crep"a, è stato selezionato da diversi festival italiani. Ravaglia e Tepedino hanno dato vita alla casa di produzione Dadalab a Bologna da qualche anno e, un anno fa, hanno scoperto un po’ per caso la storia di Luther Blissett, calciatore ‘bufala’ degli anni ’80, e del gruppo omonimo, e hanno deciso di raccontare in un lungometraggio una storia che indaga il confine tra bufale e manipolabilità dei media».
Ravaglia, originaria di Lugo, è molto legata alla sua terra di origine e ha curato la sceneggiatura di Luther Blissett di cui ci racconta la storia.
Come sta andando il vostro documentario?
«Siamo molto soddisfatti: in questi giorni eravamo al Lamezia Film Fest Liff, a settembre abbiamo partecipato al Festival Internazionale del Cinema Povero e al Bellaria Film Festival. A giugno ci hanno selezionato per uno dei più importanti festival del settore, il Biografilm a Bologna. Speriamo di portarlo anche a qualche manifestazione europea».
Come è nata l’idea di realizzare questo lungometraggio?
«Dario (Tepedino nda) aveva letto un articolo su Il Post sul calciatore Luther Blissett che compiva 60 anni e sul gruppo che prese il suo nome. La storia ci ha appassionato perché raccontava la vicenda di un vero e proprio movimento culturale in Italia che confezionava fake news per far capire quanto il sistema dell’informazione era manipolabile. Una storia di 30 anni fa, ma ancora oggi attualissima, credo che questo sia uno dei motivi per cui è stata selezionata e promossa dai vari festival».
Dove avete girato?
«In tutta Italia, a Roma, in Friuli, principalmente in Emilia Romagna. Ma anche nel ravennate Abbiamo girato nel bar di San Potito delle scene del documentario. Mia nonna fa un cameo».
Avete contattato il vero Luther Blissett, il calciatore?
«Si, adesso vive a Londra e si occupa di automobilismo e di corse. Ci ha anche risposto, ma poi si è fatto di nebbia. Forse era solo interessato al lato economico della vicenda. Però nel documentario sono presenti alcuni vecchi calciatori del Milan che giocavano con lui come Oscar Damiani, oltre a materiale di repertorio della Rai. In compenso hanno risposto i veri Wu Ming. Li abbiamo contattati solo alla fine del lavoro perché non volevamo farci influenzare, ma loro lo hanno apprezzato e hanno deciso di registrare la loro voce per il finale. Inoltre sono saliti con noi sul palco del Biografilm quando lo abbiamo presentato. Bologna è molto affezionata alla vicenda Wu Ming ed è stata molto calorosa: alla presentazione c’erano oltre 400 persone e il direttore artistico ci ha inserito tra i dieci film preferiti; calcolando che ci sono tantissime pellicole in concorso è stato un grande onore».
Progetti per il futuro?
«Abbiamo ripreso il filone delle morti di stato, è un argomento a cui teniamo molto. Il nostro primo documentario, "Mi chiamo Massimo e chiedo giustizia", ha raccontato la storia di Massimo Casalnuovo, ucciso a Buonabitacolo, in provincia di Salerno, per cui abbiamo ricevuto la menzione speciale della critica conferita dall’associazione Documentaristi Emilia Romagna per il documentario di inchiesta. Adesso vorremmo raccontare la storia di Mauro Guerra, un ragazzo ucciso in provincia di Padova».
Cosa le manca della Romagna?
«Mi manca tutto. Non c’è paragone, io devo tornare a Lugo almeno una volta a settimana. La Romagna e i romagnoli hanno un’altra energia, la mia creatività è legata alla mia terra, una terra con l’anima: una ne pensiamo e cento ne facciamo».
Cosa le piacerebbe raccontare della Romagna?
«Quando abbiamo girato a San Potito c’erano un gruppetto di over 80, frequentatori storici del bar, che ci hanno suggerito di fare un documentario sul Passatore. Chissà mai».