Oil & gas, le grandi sfide di Rana Diving tra Mediterraneo e West Africa

Ravenna | 10 Novembre 2014 Economia
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Cinquant’anni e uno sguardo rivolto al futuro e all’innovazione in un settore affascinante e delicato come gli abissi. La Rana Diving di Marina di Ravenna, tra le principali società italiane specializzate nei lavori subacquei legati all’attività dell’oil&gas, ha festeggiato nelle scorse settimane i 50 anni di attività. E’ sicuramente un traguardo importante per l’azienda fondata - partendo da un hobby comune - nel 1964 da Faustolo Rambelli e Franco Nanni, ma che conta oggi 100 dipendenti che crescono a 250 con l’indotto. Rana Diving si occupa di manutenzione di piattaforme, posa di tubazioni sui fondali, controlli di strutture offshore, recupero di navi e relitti. Il presidente è Enrico Buffa, mentre l’amministratore delegato Alessandro Bosco. E’ partner di Eni e opera in Mediterraneo, West Africa e Far East. E’ presente con una filiale a Tripoli (attualmente decentrata a Malta per i problemi politici dell’area libica) e a Pointe Noire in Congo.
Il giro d’affari varia a seconda degli anni e delle commesse, arrivando fino a 50-55 milioni. Il trend è comunque di crescita come dimostra la volontà di espansione che entro dicembre porterà l’impresa nei nuovi uffici di via del Trabaccolo. Si tratta di un’area di 5.000 metri quadrati di cui 1.000 dedicati ad uffici e un’altra parte importante coperta con un capannone. D’altronde è questa la filosofia: «Facciamo investimenti con tutti i margini che abbiamo perché stiamo tentando di dotarci di attrezzature per differenziare i posti dove lavoriamo - spiega Bosco -. La controllata Res Marina costruisce impianti da decine di milioni di euro, per questo il fatturato è molto variabile di anno in anno. E’ una realtà composta da giovani ingegneri sotto i 30 anni che stanno elaborando delle nuove attrezzature con diversi brevetti: crediamo molto nel futuro e nei giovani. Einstein diceva che l’immaginazione è più importante della conoscenza: noi sogniamo e tentiamo di realizzare quello che abbiamo immaginato».
D’altronde innovazione e uno sguardo al futuro sono nel dna della Rana Diving. «Nacque nei primi anni in cui Agip sviluppava il settore dell’oil&gas: Nanni e Rambelli avevano l’hobby sportivo delle immersioni e di lì fondarono la Rana - ripercorre l’ad -. Era sicuramente una realtà pionieristica all’inizio degli anni ‘60, visto che prima i sommozzatori venivano usati solo per la bonifica dei porti e dai residuati della seconda guerra mondiale. Nel 1969 fu effettuato un test allora unico in Italia con le operazioni Delfino 1 e 2 dove fu creato un primo habitat subacqueo a 11 e 20 metri. Già allora si usavano attrezzature pionieristiche per l’epoca e negli anni ‘70 si intraprese un percorso ancor più tecnico con l’acquisizione di un impianto di saturazione-alto fondale. Qui nacque la vera avventura di Rana nell’offshore. Nel corso del tempo c’è stata un’acquisizione di know how e mezzi importante e negli anni ‘80 Rana acquisì mezzi per lavorare anche nelle profondità marine. Passò all’Acmar dal 1998 al 2005, quando fu acquistato dall’attuale compagine sociale che ha voluto dare una nuova spinta internazionale all’impresa».
Tra Ebola e Isis, le difficoltà territoriali si aggiungono ai delicati processi tecnici. «Petrolio e gas spesso non sono in bei posti - conclude Bosco -. Siamo abituati a collaborare con le autorità nazionali italiane e internazionali. Il problema della Libia l’abbiamo momentaneamente risolto spostando il coordinamento delle attività a Malta, facilitati dal fatto che i pozzi si trovano in acque internazionali. Per quanto riguarda il West Africa è capitato anche di avere scorte armate, come in Nigeria quando abbiamo svolto delle riparazioni nel delta del Niger. Per quanto riguarda i Paesi in cui è presente un’epidemia di Ebola, abbiamo ridotto al minimo il rischio. Abbiamo uno staff medico del centro iperbarico ravennate che ci segue 24 ore su 24, con un dottore sempre a bordo. In caso di incidenti o malattia abbiamo assicurazioni che ci garantiscono l’elitrasporto immediato. E’ chiaro che tutte queste criticità fanno lievitare i costi. Comunque, ad oggi, possiamo dire che non siamo in posti a rischio».

Christian Fossi
economia@settesere.it


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