La complessa vertenza Electrolux ha ripercussioni anche in Romagna dove ha circa un migliaio di dipendenti nello stabilimento di Forlì, vari dei quali arrivano dalla Faenza e dalle città della provincia di Ravenna. La multinazionale svedese ha ingaggiato un braccio di ferro che li vede contrapposti ai lavoratori italiani. Il nocciolo della questione è il costo del lavoro: o si abbassa, o il colosso scandinavo penserà a soluzioni alternative. L’amministratore delegato del ramo italiano, Ernesto Ferrario, martedì 4 febbraio scorso ha rassicurato il Parlamento durante un’audizione che l’impresa non ha intenzione di lasciare l'Italia ma ha anche ribadito che il costo del lavoro è eccessivo e, per essere mantenuta, serve un contributo del governo.
Rassicurazioni che non bastano ai dipendenti del gruppo che pochi giorni prima avevano bocciato la proposta dell’azienda che prevedeva un taglio netto dello stipendio (alcuni calcoli fatti dai sindacati rimarcavano un calo da 1.400 euro a poco più di 800, mentre l’azienda ha sostenuto in un primo tempo di circa 130 euro, poi del 20%).
A Forlì, nello stabilimento ex Zanussi, si producono piani di cottura e forni ad incastro e oggi occupa tra i 900 e 1.000 operai (a cui va aggiunto un gruppo di impiegati), ma nei tempi d’oro erano circa 1.400.
«Il pericolo maggiore è la delocalizzazione, uno alla volta, di tutti gli stabilimenti - spiega Alberto Altavilla, 41 anni, faentino che abita a Bagnacavallo, da 20 anni (ad aprile) carrellista a Forlì -. L’azienda sta mostrando di avere un unico obiettivo in questo momento: fare maggiori profitti sfruttando i costi del lavoro inferiori in altri Paesi. Noi facciamo un prodotto di media-alta gamma ed Elettrolux i margini ce li ha. La richiesta di quasi dimezzare lo stipendio per aumentare i profitti, se accettato sarebbe un precedente gravissimo. Esuberi a Forlì? Si parla di più di 150 unità, soprattutto operai, ma per ora non ci sono documenti ufficiali. Sono entrato in azienda vent’anni fa, nell’allora Zanussi. Com’è cambiato il lavoro? Da allora la sicurezza è migliorata tantissimo, però i ritmi di lavoro, soprattutto alle catene, è diventato molto più elevato con un conseguente aumento di quei problemi legati all’usura fisica».
«Siamo preoccupati: anche martedì 4 febbraio scorso, che era il patrono di Forlì, gli operai che erano al presidio, hanno bloccato alcuni camion che stavano svuotando il magazzino - racconta Mattio Lama, faentino, 39 anni, che dall’ottobre del 2000 lavora nello stabilimento forlivese al montaggio -. Questo conferma le nostre paure che l’impresa voglia delocalizzare. Ora alcuni lavoratori stanno presidiando: nulla può entrare e nulla può uscire. Hanno chiesto un taglio degli stipendi, ma anche dei diritti. Nel mio reparto ci hanno chiesto di aumentare da 74 a 85 pezzi all’ora. Si tratta di un lavoro che già oggi sforza braccia, spalle, schiena e gambe. Fino a dieci anni fa producevamo 60 pezzi all’ora, uno al minuto: siamo arrivati a un limite fisiologico». (Christian Fossi)