Aterballetto all'Alighieri di Ravenna, racconta Cristina Bozzolini
Elena Nencini
Doppio appuntamento per la compagnia Aterballetto che presenta sabato 18 gennaio (ore 20.30, replica domenica 19 ore 15.30 al Teatro Alighieri) Workwitihnwork e Rain dogs. La compagnia reggiana, una delle principali realtà italiane di produzione e distribuzione di danza moderna in Italia, porta sul palco le opere di due coreografi internazionali William Forsythe e Johan Inger. Lo spettacolo sottolinea l’eclettismo e la versatilità di Aterballetto. Nel primo lavoro Forsythe lavora sui Duetti per due violini di Berio proponendo inesauribili variazioni, mentre il quarantacinquenne svedese Johan Inger, coreografo associato al Nederlands Dans Theater, racconta la solitudine calandola nella musica di Tom Waits. Cristina Bozzolini, direttrice artistica di Aterballetto, parla delle sue esperienze di prima ballerina del Maggio Musicale Fiorentino e del futuro dei giovani danzatori.
Come mai ha accostato Forsythe a Inger?
«Sono due lavori meravigliosi proprio perché diversi stanno bene insieme. La coreografia contemporanea spunta fuori da entrambi nella concezione dello spazio, del movimento. In realtà pur essendo due lavori diversi, uno del 1995 e l'altro realizzato qualche anno fa, c'è un filo rosso che li unisce: un uso del corpo esasperato. La musica di Berio non è facile, ma straordinaria per le variazioni della musica, in alcuni momenti è poetica, in altri malinconica, a volte ha un'energia strabiliante. Esiste una simbiosi tra coreografia e musica in questo spettacolo caratterizzato da una tecnica difficilissima, e da un racconto attraverso il corpo, pur nella sua astrattezza. Inger affronta invece il racconto della gioventù di oggi, della solitudine, con un’apertura di speranza verso il futuro, senza essere retorico e banale».
Sul palco 18 ballerini. Com’è la situazione dei giovani danzatori in Italia?
«Pessima, purtroppo. Sono pochi gli enti lirici che hanno ancora un corpo di ballo: La Scala, l'Opera di Roma, il San Carlo resiste, anche il comunale di Firenze è in difficoltà. Aterballetto è una realtà straordinaria, con 18 ballerini facciamo 90 spettacoli all'anno, ma solo così possiamo andare avanti. Ci confrontiamo con compagnie internazionali nonostante la metà dei fondi, ma i ballerini italiani hanno qualcosa di speciale, hanno il cuore, la personalità, la musicalità».
Come prima ballerina solista del Maggio ha avuto tante esperienze con artisti internazionali. Ce ne racconta una?
«E’ stato bello lavorare con tutti. Nureyev è venuto molto volte, ci considerava la sua casetta quando il suo amico Eugène Polyakov era direttore artistico del Maggio. Baryshnikov invece è venuto una sola volta per lo spettacolo Giselle, era molto giovane. In una scena, dove interpretavo Mirta, dovevo stare ferma, immobile e guardare verso il pubblico, mentre Baryshnikov eseguiva la variazione del secondo atto. Non potevo girarmi, ma lo sentivo muoversi dietro e sopra di me. E’ un minuto e mezzo che può essere una meraviglia, un artista si può esprimere in modo eccezionale e lui ‘volava’. Ad un certo punto tutta la platea si è alzata in un 'ooo' di meraviglia. Non capita tutti i giorni un’esperienza simile».