E’ tornata da Lampedusa la motovedetta CP274: «La gioia più bella la nascita a bordo»
Li chiamano angeli del mare, ma hanno le facce pulite di persone normali anche se sono stati due mesi nelle acque davanti a Lampedusa per partecipare al progetto Frontex con il quale l’Unione Europea e i paesi della zona Schengen gestiscono e controllano le frontiere esterne. I nove uomini dell’equipaggio della motovedetta Cp274 della Capitaneria di porto di Ravenna hanno avuto un’estate intensa, trovandosi a gestire situazioni spesso difficili: uomini e donne disperati dopo giorni passati in alto mare, senza acqua né viveri, al limite delle proprie forze.
A raccontare i risultati della missione sono il comandante Giulio Nardozza, il nostromo Maurizio Petruzzello e il sergente Francesco Corrado, alternandosi in un racconto fatto di intense emozioni, gioia, spirito di sacrificio e anche dolore. Nessuno dei tre è un novellino in questo genere di missioni: Nardozza è alla terza, mentre gli altri due alla seconda, ma come quest’anno non era mai successo. Eh, si perché far nascere un bambino a bordo non è facile, ma non è facile nemmeno trovarsi in mezzo al mare, a 250 km dalla costa, con 29 corpi, di cui 8 donne incinte, da mettere nei sacchi per riportarli a terra. Come spiega Petruzzello: «E’ un viaggio che ti cambia. Tutto quello che pensavi prima di venire scompare».
Due mesi in cui si lavora anche 24 ore come spiega il comandante: «Siamo due unità navali: se una è impegnata l’altra interviene, ma le distanze spesso sono molto grandi, possono anche capitare 20 ore di navigazione. Prima di andare via, nell’ultima missione prima di tornare a Ravenna, abbiamo lavorato 36 ore di seguito: bisognava scortare una nave con 900 persone a bordo fino ad Augusta. Il nostro compito è portare acqua, viveri, e condurli in un porto dove ci siano i sanitari. Poi bisogna pulire la barca: dopo aver trasportato 180 persone le condizioni sanitarie non sono ottimali».
Sono cambiati i flussi migratori?
Nardozza: «Qualche anno fa arrivavano dalla Siria, adesso sono migranti economici, con provenienza dall’Africa Subsahariana. Arrivano dalle maglie larghe della Libia. Purtroppo sempre più spesso si imbarcano con condizioni meteo marine sfavorevoli e così è diventato anche più complicato aiutarli, anche se rispetto ai primi anni ci sono molte più navi nel canale di Sicilia. Non solo mezzi militari, ma anche navi di Ong che collaborano con noi. E’ un bell’apparato quello della Guardia costiera: siamo diventati un’eccellenza in questo tipo di soccorsi».
Petruzzello: «Ogni volta è diverso perché gli scenari che ti capita di vivere sono variegati: ti capita di trovare persone in acqua, che sono agli sgoccioli, basterebbero pochi minuti di ritardo nel soccorso e morirebbero».
L’evento più bello di questa missione?
Nardozza: «Ogni giorno ce lo ricordiamo. Dovevamo solo portare provviste a una nave a 10 miglia da Lampedusa. Arrivati sottobordo il comandante ci dice che c’era una signora con un pancione che secondo lui non ce la faceva più. Aveva 28 anni, ma sembrava una ragazzina, veniva dal Mali. Ci hanno pensato Petruzzello e Corrado, io guidavo la nave, volevo arrivare in porto al più presto: ero preoccupato che ci fossero delle complicazioni. Non siamo mica preparati per far nascere un bambino!».
Petruzzello: «L’abbiamo fatta sedere all’ombra, era una giornata caldissima, lei non diceva niente, ma si vedeva che era stanchissima. Aveva la tuta bagnata, pensavo che avesse fatto pipì. Poi non ce l’ha fatta più e si è lasciata togliere la tuta ed ho visto subito la testa del bambino. Ci siamo accolti a vicenda. Francesco le parlava, in italiano, le faceva coraggio».
Corrado: «Lei non parlava, solo prima del parto ha detto qualcosa, sembrava pregasse. Penso che chiedesse che finissero i dolori anche se non faceva grandi urla. Chissà cosa aveva sofferto. Siamo usciti per una missione e siamo tornati con un bambino».
L’intervento più brutto ?
Nardozza: «Cerchiamo di rammentare sempre le cose positive, ma abbiamo dovuto recuperare 29 salme, è stata la più dura in assoluto. C’erano 7000 persone da soccorrere quel giorno: tutte le unità di soccorso erano fuori. Ci hanno chiesto di recuperare una zattera: ma solo quando siamo arrivati, all’una di notte, dopo 7 ore di navigazione, abbiamo scoperto che c’erano 29 cadaveri. Li abbiamo recuperati uno alla volta. Il nostromo si è calato nella zattera con i cadaveri che erano lì da una settimana. Potete immaginare cosa abbiamo trovato. Ci sono volute tre ore e mezza per metterli nei sacchi. Ma non avevamo altre alternative. Arrivati a Pozzallo abbiamo scoperto che c’erano 19 donne, di cui 8 incinte. Ho i brividi a raccontarlo. Il senso della vita non si capisce in quei frangenti».
Petruzzello: «L’ondata di persone è stata talmente imponente che ci si è preoccupati per primo dei vivi. E ovviamente non puoi mischiare i cadaveri ai vivi. Ma non li puoi lasciare lì. Facciamo questo lavoro per soccorrere la gente, ma qui ti senti impotente».
E per Corrado la prima missione gli ha portato fortuna in amore: infatti dopo 9 mesi si è sposato con una ragazza siciliana conosciuta a Lampedusa, un «colpo di fulmine – commenta ridendo il nostromo. Nonostante il comandante ci avesse catechizzati di non combinare guai».
Elena Nencini