Latte in collina, che impresa
Fare agricoltura in collina si sa è difficile, faticoso e poco remunerativo, ma per chi produce latte sta diventando davvero un’impresa. «Siamo partiti con una cooperativa di latte a Palazzuolo sul Senio negli anni ‘70, eravamo in 350 - racconta Ivan Ceroni, allevatore di San Martino in Gattara - adesso siamo in sei e chissà con quale prospettiva».
Ivan è titolare di una piccola azienda familiare che conduce con il fratello e il figlio. «Produciamo da soli anche il foraggio con cui alimentiamo gli animali - racconta - 125 mucche che producono ogni anno circa 7000-7500 quintali di latte».
Il problema è il prezzo pagato ai produttori, che si aggira intorno ai 38 centesimi più iva al litro. «Per il momento sopravviviamo - aggiunge Ivan - ma si va avanti soprattutto per passione e per i figli, perché altrimenti chiuderei all’istante. Quando va bene lavoro per circa 2-3 euro all’ora».
Anche la fine del regime delle quote latte non agevola le piccole aziende di montagna. «Sono 20 anni che acquistiamo quote e adesso le tolgono. Non sarebbe un problema di per sé, ma se a questo si aggiunge che l’Italia compra il latte dall’estero, la concorrenza straniera è sleale e il prezzo pagato a noi non copre neanche i costi di produzione, lei capisce che le aziende piccole, specie se in zone svantaggiate non ce la fanno».
L’unica soluzione per sopravvivere, almeno in collina, sembrerebbe essere quella di trasformare il latte in azienda, come ha fatto Stefania Malvolti di Casola Valsenio. «Se dovessi conferire il latte non avrei ragione di esistere - spiega - perché le entrate non coprirebbero neppure i costi, figuriamoci guadagnarci qualcosa».
Stefania conduce il piccolo caseificio aziendale insieme al marito e alla figlia. «Facciamo vendita diretta - precisa Stefania - e in più abbiamo due piccoli punti vendita uno a Casola, l’altro a Faenza insieme a ad altre sei piccole aziende consorziate».
Malvolti alleva una trentina di bovini da latte e 130 tra pecore e capre. «Produciamo circa 1800 quintali di latte all’anno complessivamente - aggiunge - che trasformiamo seguendo ancora i metodi artigianali, ottenendo circa 220 quintali di prodotto suddiviso in formaggi freschi e stagionati, ricotta, yogurt e gelato».
Gli animali vengono alimentati in gran parte con fieno e cereali prodotti in azienda, in inverno sono a stabulazione libera, cioè non sono legati, mentre dalla primavera all’autunno vengono lasciati liberi al pascolo. «Le stalle sono di recente costruzione - racconta ancora Stefania -: ampie e confortevoli per garantire il benessere degli animali. Seguiamo metodi il più possibile naturali e cerchiamo di costruire un rapporto di fiducia con i nostri clienti grazie anche alla vendita diretta. Riusciamo a fare un po’ di reddito lavorando tantissimo da soli. In collina tutto è più rallentato, faticoso e costoso rispetto alla pianura».
Anche la fine del regime delle quote latte lascia un fondo di amarezza: «Abbiamo sempre lavorato con correttezza - conclude Stefania - senza produrre nemmeno un litro di latte in più, spendendo parecchi soldi per le quote in un momento in cui ne avremmo avuto bisogno in azienda. Quello che dispiace è che siano andati a finire in niente senza nessun riconoscimento per chi come noi ha sempre rispettato le regole».
Barbara Fichera